Lo ricorderemo come il Tour de Froome. Di questo ventottenne pelle, ossa e talento e programmazione. Britannico nato in Kenya benestante figlio di diplomatici. Alla faccia di chi ha sempre detto che per andar forte in biciletta bisogna anche soffrire nella vita. Chris l'ha avuta facile, eppure ha scelto uno sport di fatica e alla sesta Grand Boucle da professionista, la prima da capitano, ha fatto centro. Ha dominato e mai dato l'impressione di andare veramente in sofferenza. Ha condotto da ragioniere, lasciato andare le fughe giuste. Non ha cannibalizzato la corsa, si è accontentato di vincere senza rischiare di perdere. In questo più Indurain che Hinault per dire due totem ai quali è stato accostato. Vince oggi, quando Parigi gli regala il defilèe serale degli Champs Elysèes. E' il suo Tour, quello di Rui Costa (doppietta per il portoghese vincitore del Giro di Svizzera), ma anche il Tour del colomiano Nairo Quintana. Impressionante in salita e nei documenti. Questo caprettto colombiano ha appena 23 anni e non è difficile pronosticare che tra qualche anno toccherà a lui sfilare a Parigi. Non è stato il Tour di Contador. Signore di eleganza che la squalifica ha un po' sgualcito. Ha scoperto la fatica e la crisi, le gambe pesanti e i pensieri di chi a 31 anni sbatte su una nuova generazione fatalmente più fresca e più veloce.
Roberto Chiesa
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