Vuole cassare l’immagine del ciclista povero e inadeguato e punta forte sul Giro di Pechino, la Cina, che da mondo isolato e lontano si trova oggi locomotiva dell’economia. Dunque apertura al professionismo e benvenuti dentro la grande muraglia dove di rosso c’è ormai quasi solo l’allarme inquinamento. Polveri sottili sopra il limite consentito del doppio tanto da spingere il Ministero dell’Ambiente a diramare un appello a restare a casa. Tra nuove frontiere e vecchi problemi dunque il Giro è partito. E la prima tappa ha la targa italiana di Elia Viviani della Liquigas, ma ora il Giro rischia di fermarsi. I corridori vogliono rassicurazioni sulla qualità dell’aria perché aprire il polmone nella megalopoli espone a rischi molto elevati. Dieci anni fa giravano a Pechino due milioni e mezzo di auto. Oggi sono 12 milioni. Si diceva che tutti avessero la tessera del partito in tasca e una bicicletta sotto il sedere. Oggi né l’una, né l’altra. C’è un pensiero un po’ più libero, un aria molto più malata, e il ciclismo in rampa di lancio che rischia di fermarsi dopo appena la prima tappa.
Roberto Chiesa
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