NBA: i "grandi secondi" di una squadra
Negli basket c’è un allenatore che stabilisce chi debba essere la stella della squadra, chi debba tirare più degli altri soprattutto nei momenti decisivi delle partite. Solitamente è abbastanza oggettivo capire a chi si debba affidare una squadra, ma a volte capita che un potenziale numero uno debba accettare di essere il numero due, perché all’interno della squadra c’è un campione ancora più grande. Quello del secondo violino di una grande squadra è un ruolo che ha dei pro e dei contro; i pro sono quelli di avere meno pressione addosso rispetto al numero uno e di ricevere meno critiche in caso di sconfitta e i contro sono non avere i maggiori meriti in caso di vittoria e guadagnare meno rispetto al numero uno. Di grandi secondi violini ce ne sono stati tanti, Kobe Bryant per Shaquille O’Neil nei Los Angeles Lakers dei primi anni 2000, Stephen Curry per Kevin Durant negli ultimi Golden State Warriors, John Stockton per Karl Malone negli Utah Jazz degli anni 80 – 90 (era Malone a vincere i premi di MVP), Pau Gasol per Kobe Bryant nei Los Angeles Lakers di fine anni 10, Anthony Davis per Lebron James nei Los Angeles Lakers odierni, Paul George negli attuali Los Angeles Clippers per Kawhi Leonard, Manuel Ginobili e Tony Parker nei San Antonio Spurs anni 2000 per Tim Duncan e tanti altri. Tra questi che ho elencato molti erano in realtà dei numeri uno costretti ad accettare un ruolo da secondi, mentre altri erano perfetti nel ruolo di secondi per loro stessa ammissione. Tra i secondi perfetti per quel ruolo molti indicano però Scottie Pippen dei Chicago Bulls anni 90 come quello perfetto, perché incapace caratterialmente a fare il leader, ma perfetto per fare il numero due dopo l’immenso Michael Jordan.
Andrea Renzi