NBA: numeri ed epoche
A chi segue il basket sarà capitato di sentire parlare di record, per fare l'esempio più recente di LeBron James che ha superato Kobe Bryant nei punti totali realizzati in NBA, ma si tratta perlopiù di numeri da contestualizzare. Bisogna fare anche un'altra premessa e cioè che i numeri dicono molto ma non tutto, ma se proprio di numeri dobbiamo parlare ecco alcuni fattori da tenere in considerazione tra le varie epoche.
Il miglior calcolo statistico per i giocatori è quello di considerare i numeri rapportati non tanto ai minuti giocati, ma ai cento possessi di palla potenziali a partita. Dal 1946 ai primi anni cinquanta non esisteva un limite di trenta secondi diventato poi ventiquattro, per concludere ogni attacco quindi i punteggi erano bassi. La media punti era di neanche ottantacinque a partita, quindi i grandi campioni come George Mikan, Bob Cousy, Bob Pettit a livello statistico erano penalizzati rispetto a quelli venuti dopo, anche se in quegli anni i titolari stavano in campo quarantadue, quarantacinque minuti a partita, alcuni anche tutta la gara. Da fine anni cinquanta fino a fine anni sessanta abbiamo avuto le statistiche in rapporto ai minuti giocati più alte della storia, perché fu introdotta la regola di avere solo trenta secondi per ogni azione, oltre al fatto che le riserve entravano pochissimo. Ecco quindi che Wilt Chamberlain in una stagione fece cinquanta punti e oltre venti rimbalzi di media a partita, aiutato anche dal fatto che in quegli anni in ogni partita c'erano molti più possessi rispetto ad oggi. Le statistiche di Chamberlain in rapporto ai cento possessi potenziali in realtà erano simili o inferiori a quelle di Michael Jordan e Kareem Abdul Jabbar che hanno giocato in altre epoche, anche se Chamberlain stava in campo tutta la partita o quasi, quindi spendeva più energie. Fino agli settanta il conteggio degli assist era però più ridotto e restrittivo di circa un sesto. Poi ad inizio anni ottanta fu introdotta la regola del tiro da tre punti e questo comportò meno caos vicino a canestro e un aumento statistico dei giocatori, soprattutto degli esterni. Infatti fino ad allora i giocatori più piccoli ed esterni come Jerry West, Oscar Robertson, Pete Maravich erano penalizzati rispetto ai centri giganti come Wilt Chamberlain, Kareem Abdul Jabbar, Bill Russell ed altri ancora. A fine anni settanta furono introdotte regole che permettevano una maggiore durezza difensiva, soprattutto lontano da canestro, ecco quindi che negli anni ottanta di Magic Johnson, Larry Bird, Julius Erving e poi Michael Jordan la media punti era centootto a partita, diventata poi centouno negli anni novanta. Negli anni duemila la media punti si abbassò addirittura a novantasette, poi furono introdotte regole di grande tutela per gli attaccanti e così la media negli ultimi anni è tornata molto sopra i cento e dal 2018 addirittura sui centoundici. Nel nostro attuale presente le statistiche rapportate ai cento possessi potenziali sono le più alte di sempre, perché i giocatori in attacco sono ultraprotetti e stanno in campo solo trenta alcuni trentacinque minuti a partita, mentre a fine anni cinquanta e sessanta i giocatori venivano spremuti in campo per quasi tutta la partita, quindi a lungo andare perdevano lucidità. Il periodo dove produrre grandi statistiche in rapporto ai minuti giocati e anche in rapporto ai cento possessi potenziali era più difficile, sono stati gli anni duemila, quelli dove ha regnato Kobe Bryant.
Andrea Renzi