"Presidente, ho visto un ragazzino. Mi son segnato il nome, Pascutti. Lei ho prenda e poi ci penso io". Gipo Viani corre da Renato Dall'Ara dopo una partita del Torviscosa folgorato non dal centravanti Leskovic, ma dall'ala destra che gioca a sinistra. Ha 17 anni e comincia la favola di Ezio Pascutti. Debutta nel gennaio '57 segna il gol vittoria e di buttarla dentro non smette più. E' un attaccante che picchia di più dei difensori che lo picchiano e partita o allenamento non fa differenza se è vero che l'allenatore Bernardini durante un'amichevole corre in campo per staccare le mani di Pascutti dal collo di un ragazzino entrato in modo un po' ruvido. Non ha il siluro di Pivatelli, ma di testa sono tutte le sue e poi sulle palle vaganti ci arriva per primo e si direbbe oggi è anche attaccante di rapina. Scudetto col Bologna, la Mitropa, ma anche 17 presenze e 8 gol con la maglia della Nazionale. E il declino. Con gli azzurri del post Corea che fanno senza di lui e anche il Bologna che comincia a fare altre scelte: è l'allenatore Carniglia che arriva a dire che Pascutti ha una gamba di legno. In realtà Ezio cura i tanti lividi che i difensoracci gli procurano e un po' il tempo passa, un po' il fisico accusa, insomma dopo i trenta per Pascot c'è un fine corsa da battitore libero. Dopo il campo un po' di tristezza. Allenicchia a Sassuolo, poi a Lugo, fa l'osservatore per il Bologna ma al primo giocatore che gli bocciano preferisce lasciar stare. Frequenta i club quando lo invitano, fa qualche comparsata in tv. La malattia rallenta tutto e gli ultimi 2 mesi sono sono brutti in clinica. Questo tuffo in anticipo su Burgnich è il testamento che lascia ai posteri un campione che non ha mai cambiato maglia e che merita ben altro che un applauso e un lutto al braccio.
Roberto Chiesa
Roberto Chiesa
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