Classe sul campo e coraggio nella malattia: il calcio piange Gianluca Vialli
Un altro che se ne va pieno di vita e di cose da fare, un altro sorriso spento da una malattia implacabile combattuta con compostezza, coraggio e anche col sorriso. L'ultimo questa mattina nella clinica di Londra dove era ricoverato da prima di Natale, da quando le condizioni di Gianluca Vialli erano notevolmente peggiorate. "Devo sottopormi a cure ulteriori che speravo di non dover fare perché sapevo fosse dura, ma non così dura". Quando disse a Roberto Mancini di dover lasciare l'incarico da Capo Delegazione della Nazionale fu chiaro a tutti che sarebbe servito un miracolo. Quello che aveva sperato anche il Presidente Gravina, tra i primi questa mattina a intervenire dopo l'annuncio della famiglia.
Si era imposto nel grande calcio con la Cremonese di Mondonico (un altro di quelli richiamato anzitempo), poi la nazionale di Vicini e le notti magiche, lo storico scudetto con Sampdoria trascinata a suon di gol così raffinati da divenire, violinista proveniente dalla città dei violini, "StradiVialli" nella narrazione breriana. E ancora la stagione della maturità alla Juventus (che oggi gli ha dedicato un minuto di silenzio prima della conferenza di Allegri). Guidò i bianconeri allo scudetto e alla Champions e l'avventura inglese da allenatore giocatore al Chelsea.
Era un curioso, si occupò di mille cose e fece anche televisione fino alla chiamata del Mancio: "Dai, vieni a darmi una mano". La malattia si era già affacciata in un quotidiano cadenzato da ritmi e tempi che non erano più quelli. Ma il nuovo incarico fu un bagno di vita, un modo per stare in gruppo e vincere un Europeo, un trofeo da dirigente, prima che il male spegnesse anche l'ultimo sforzato sorriso.
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