E' morto Corso, col sinistro fece sognare l'Inter
Non aveva l'aria del campione, non sembrava un grande giocatore: pochi capelli, andatura ciondolante e sguardo di chi si è appena alzato dal letto. Un assist per la perfidia di Brera che di lui scrisse: "..nel nome ha il participio passato del verbo correre...". Non aveva un ruolo proprio, semplicemente valeva il prezzo del biglietto. Dall'esordio a San Siro con la maglia dell'Inter a 17 anni, il piede sinistro di Dio accarezzava il pallone distillava calcio per indenditori e faceva impazzire chi aveva la pretesa di allenarlo.
Quello che regalava ce l'aveva dentro e gli spostamenti sul campo erano principalmente finalizzati a cercare zone soleggiate d'inverno e d'ombra in estate. Attorno a lui si svolgeva una partita dalla quale entrava e usciva con disarmante facilità. Contro la Roma il gol più bello, contro Independiente al Bernabeu il più importante valse l'Intercontinentale. Sempre un colpo a sorpresa nascosto da qualche parte e la punizione a foglia morta, specialità della casa sulla primogenitura della quale è battaglia aperta col brasiliano del Fluminense Didì che calciava appunto a "folhna seca".
Era con Sandrino e Luisito espressione dell'Inter dei diminutivi e di un calcio aggredito e poi stritolato da cannonate e forza fisica. Leader dello spogliatoio eppure sempre poco amato dagli allenatori che ne sopportavano talento ed indolenza. Zero o quasi rapporto coi giornalisti e solo dopo aver smesso di giocare e allenicchiato qualche anno anche un breve passaggio da opinionista in tv. Chiaro, ma parco nell'argomentare. Poco incline alla battuta insomma meglio, molto meglio sul campo. Era nato nel 1941 e forse rinato nel '95 quando entrò nel libro di Berselli "Il più mancino dei tiri", mescolato a Scopigno, Gimondi, Todorov ognuno con i propri talenti e le proprie umanità. Ha vissuto con aria stanca e piede caldo, da uomo libero, che forse era la cosa che gli interessava di più.