E' cominciata 50 anni fa e non è ancora finita. Italia-Germania 4-3 è l'atto primo di un mondo, un romanzo ancora aperto, una dualità tra Italia e Germania appunto che trascende la partita in sè. Non che non ci fossero motivi di soddisfazione sufficienti, anzi, quell'Italia bellissima si qualificò per la finale trionfo di uno psicodramma in cui l'azzurro istrionico, fantasioso, estroverso ed istintivo sulla disciplina, l'organizzazione e anche la noia, si la noia di quella Germania. Loro più forti, noi più bravi.
Allo stadio Azteca c'è una targa "qui si è giocata la partita del secolo", e vero o non vero è codificata così. Boninsegna per l'illusione, la doccia gelata di Schellinger che al minuto '92 rimanda l'esito ai supplementari. Il dramma con Muller e il 2-2 di Burgnich, lui roccioso difensore in libera uscita nell'area tedesca al minuto '98. Riva col sinistro porta l'Italia in Paradiso, Rivera sul palo non interviene colpevolmente sul colpo di testa di Seeler e son 3 di qua e 3 di là. Poi per via di quella massima che il campione vede l'autostrada dove per gli altri c'è solo il sentiero eccolo il "Golden Boy" far 4-3.
Un trionfo in un contesto segnato dal dualismo Rivera-Mazzola risolto -scrisse Brera- "...con democristiana staffetta", con Albertosi in porta sostenuto dal clan Cagliari e non Zoff e la voce inattesa di Nando Martellini che in corsa prese il posto di Nicolò Carosio, scivolato sull'assistente etiope della partita con Israele e silurato dalla Rai dopo sommario e veloce processo.
Quando l'arbitro fischiò la fine di una partita che ha rischiato anche l'epilogo atroce della monetina, la festa fu totale. Definitiva. Tanto che aver perso la finale per 4-1 contro il Brasile di Pelè fu subito derubricato come trascurabile dettaglio. Quella squadra stava ancora giocando con la Germania, che poi era la Germania Ovest in quel mondo lì.