“Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai”. Così il politico socialista Giacomo Matteotti si rivolse alla Camera dei Deputati, quasi presagendo il disegno criminoso del regime fascista di cui denunciò violenze e abusi fino all'ultimo giorno di vita. Disegno che fu messo in pratica il 10 giugno 1924 da cinque membri della “polizia politica”, che dopo averlo rapito nella zona del Lungotevere (così testimoniarono due bambini), lo accoltellarono e abbandonarono il cadavere nelle campagne della Capitale.
L’episodio, di cui Mussolini stesso ammise la responsabilità, segnò uno spartiacque nella lotta al regime, coalizzando i partiti d’opposizione che abbandonarono per protesta il Parlamento, passata alla storia come Secessione dell'Aventino ed entrata nel linguaggio politico. Il governo ne approfittò per approvare leggi più restrittive nei confronti della stampa e della libertà di associazione. Da allora Giacomo Matteotti fu assunto a figura simbolo dell’antifascismo, ricordata nella toponomastica italiana e nelle commemorazioni ufficiali delle vittime del fascismo.
L’episodio, di cui Mussolini stesso ammise la responsabilità, segnò uno spartiacque nella lotta al regime, coalizzando i partiti d’opposizione che abbandonarono per protesta il Parlamento, passata alla storia come Secessione dell'Aventino ed entrata nel linguaggio politico. Il governo ne approfittò per approvare leggi più restrittive nei confronti della stampa e della libertà di associazione. Da allora Giacomo Matteotti fu assunto a figura simbolo dell’antifascismo, ricordata nella toponomastica italiana e nelle commemorazioni ufficiali delle vittime del fascismo.
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