Vincenzo Peruggia - 30enne decoratore, originario di Dumenza, nel varesino – decide di agire di lunedì, giorno di chiusura del Louvre. Prima, chiaramente, si crea un alibi. Avendoci prestato servizio, conosce bene il museo e le abitudini del personale. Entra così indisturbato e stacca la Gioconda di Leonardo da Vinci dalla cornice, infilandola sotto il cappotto. La porterà nell'appartamento che condivide col cugino.
Al museo si accorgono dell'accaduto solo dopo un'ora, ma gli investigatori brancolano nel buio. Peruggia, nel frattempo, raggiunge Firenze, dove si mette in contatto con l’antiquario Geri, inviandogli una lettera firmata «Leonardo», nella quale sottolinea il valore “patriottico” del gesto: per lui l’opera appartiene all'Italia ed è disposto a restituirla alla modica cifra di 500mila lire. Viene organizzato un incontro segreto alla pensione "Tripoli" (tutt’ora esistente a Firenze con il nome “La Gioconda”), cui prende parte anche il direttore degli Uffizi, Giovanni Poggi.
Ma è una trappola e il fuggiasco finisce agli arresti. Nel giugno 1913, si arriva al processo, mentre nell'opinione pubblica italiana cresce l'immagine di Peruggia come un "Lupin" patriottico che ha riscattato il torto dello "scippo" napoleonico. I buoni rapporti tra Italia e Francia porteranno a una soluzione condivisa: il 30enne viene condannato a una pena soft (un anno, ridotto a 7 mesi); la Gioconda resterà a lungo in esposizione agli Uffizi di Firenze e a Roma (Palazzo Farnese e Galleria Borghese), prima di ritornare al Louvre.
Al museo si accorgono dell'accaduto solo dopo un'ora, ma gli investigatori brancolano nel buio. Peruggia, nel frattempo, raggiunge Firenze, dove si mette in contatto con l’antiquario Geri, inviandogli una lettera firmata «Leonardo», nella quale sottolinea il valore “patriottico” del gesto: per lui l’opera appartiene all'Italia ed è disposto a restituirla alla modica cifra di 500mila lire. Viene organizzato un incontro segreto alla pensione "Tripoli" (tutt’ora esistente a Firenze con il nome “La Gioconda”), cui prende parte anche il direttore degli Uffizi, Giovanni Poggi.
Ma è una trappola e il fuggiasco finisce agli arresti. Nel giugno 1913, si arriva al processo, mentre nell'opinione pubblica italiana cresce l'immagine di Peruggia come un "Lupin" patriottico che ha riscattato il torto dello "scippo" napoleonico. I buoni rapporti tra Italia e Francia porteranno a una soluzione condivisa: il 30enne viene condannato a una pena soft (un anno, ridotto a 7 mesi); la Gioconda resterà a lungo in esposizione agli Uffizi di Firenze e a Roma (Palazzo Farnese e Galleria Borghese), prima di ritornare al Louvre.
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