E’ un Garibaldi sconfitto, braccato, allo stremo delle forze quello che il 31 luglio del 1849 entra a San Marino. Con lui un migliaio di reduci della Repubblica Romana. Gente pronta a tutto, ma male armata e con il morale a pezzi. Sono diretti a Venezia, che resiste ancora a denti stretti. Una situazione apparentemente disperata perché a inseguirli sono 10.000 soldati dell’esercito austriaco. I Garibaldini sono accerchiati; la resa dei conti è vicina.
Il 29 luglio la prima richiesta di transitare attraverso il territorio della Repubblica. E’ il Reggente Domenico Maria Belzoppi, di simpatie carbonare, a convincere il Governo ad accettare. Il malandato esercito di Garibaldi entra così sul Titano e i sammarinesi si mettono in mezzo come mediatori, bloccano le parti. Per evitare la resa, l’uomo che in seguito verrà definito l’eroe dei due mondi, scioglie l’esercito. Alcuni militari trovano ospitalità presso famiglie sammarinesi, altri si allontanano alla spicciolata. Garibaldi, sua moglie Anita e gli ufficiali più compromessi, vengono fatti fuggire dopo un breve riposo. Sono accompagnati da alcune guide sammarinesi, per non essere intercettati dagli austriaci.
La marcia verso Venezia riprende così dalla Romagna: ma Garibaldi e i suoi fedelissimi non raggiungeranno mai la città lagunare, che comunque cade il 24 agosto. Anita muore nelle valli del ravennate e Giuseppe Garibaldi, costantemente braccato, riesce infine a riparare in Toscana. Salvo, grazie anche al decisivo aiuto della Repubblica di San Marino.
Il 29 luglio la prima richiesta di transitare attraverso il territorio della Repubblica. E’ il Reggente Domenico Maria Belzoppi, di simpatie carbonare, a convincere il Governo ad accettare. Il malandato esercito di Garibaldi entra così sul Titano e i sammarinesi si mettono in mezzo come mediatori, bloccano le parti. Per evitare la resa, l’uomo che in seguito verrà definito l’eroe dei due mondi, scioglie l’esercito. Alcuni militari trovano ospitalità presso famiglie sammarinesi, altri si allontanano alla spicciolata. Garibaldi, sua moglie Anita e gli ufficiali più compromessi, vengono fatti fuggire dopo un breve riposo. Sono accompagnati da alcune guide sammarinesi, per non essere intercettati dagli austriaci.
La marcia verso Venezia riprende così dalla Romagna: ma Garibaldi e i suoi fedelissimi non raggiungeranno mai la città lagunare, che comunque cade il 24 agosto. Anita muore nelle valli del ravennate e Giuseppe Garibaldi, costantemente braccato, riesce infine a riparare in Toscana. Salvo, grazie anche al decisivo aiuto della Repubblica di San Marino.
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