E' un botta e risposta dai toni particolarmente aspri quello che sta interessando l'Associazione Protezione Animali e il Dipartimento di Sanità Pubblica, pronti nel caso a darsi battaglia anche in tribunale per difendere ognuno la propria posizione. L'ultima delle repliche che si stanno susseguendo, nero su bianco, è dell'APAS. Si accusa il Dirigente del Dipartimento di esprimere considerazioni che nulla hanno a che vedere con la vicenda del povero animale deceduto per le conseguenze di un colpo di calore e che possono essere intese anche come una velata e meschina minaccia di interrompere la collaborazione tra le sue realtà. “In merito alla disponibilità “a collaborare con l’APAS e a continuare a destinare risorse economiche e materiali” - scrive l'associazione - ricordiamo nel caso vi fossero amnesie da “colpi di calore”, che tutto ciò non avviene per gentile concessione del Dipartimento, ma è previsto dalla Convenzione in materia di randagismo fra la Segreteria per la Sanità e l’APAS stessa, al fine di dare attuazione agli obblighi dello Stato derivanti dalla Legge 54 del 23 Aprile 1991. Pertanto – chiosa la Protezione Animali - è improprio parlare di disponibilità a collaborare da parte del Dipartimento o del Servizio Veterinario quando in realtà si tratta di un dovere previsto dalla legge. Ma la morte del Pastore del Caucaso pare aver acuito anche vecchie ruggini. E qui arriva la stoccata finale: “Sulla prevenzione e il controllo del randagismo felino oggi quasi fuori controllo – scrivono - e praticamente tutto sulle spalle dei volontari per far fronte alle emergenze, l'APAS denuncia la quasi completa latitanza del Servizio Veterinario di Stato”.
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