Sembra non abbiano imparato la lezione. Il fatto di essere stati individuati dalle forze dell’ordine, denunciati, rinviati a giudizio per danneggiamento e furto, infine condannati, non li ha indotti a grandi cambiamenti.
Alcuni dei componenti della cosiddetta "banda delle biglie", mentre erano sotto processo, hanno continuato a compiere atti illeciti, tra cui il tentato furto di un Ape Piaggio a Fiorentino, e altre ruberie in locali pubblici, delle quali non risponderanno perché non è stata presentata denuncia.
La Gendarmeria li conosce, sa chi sono, ma essendo tutti maggiorenni i ragazzi hanno chiesto ed ottenuto di non far sapere nulla ai loro familiari. Parlare coi genitori, a quanto pare, non serve: tendono a giustificare i propri figli e ad incolpare le forze dell’ordine perché li perseguitano.
Ma com’è possibile che nemmeno il fatto di essere sotto processo abbia indotto i giovani al ragionamento?
Secondo il dottor Bastianelli, responsabile del servizio neuropsichiatrico, “questi giovani provano un evidente senso di onnipotenza e di impunità. Se hanno continuato ad agire come nulla fosse, evidentemente non si preoccupano delle conseguenze e pensano che, in realtà, non debbano fare i conti con la realtà. Il rischio di oggi – continua – è che certe funzioni educative, una volta demandate esclusivamente alla famiglia, siano passate all’autorità, alle forze dell’ordine, ai tribunali. Ma se l’educazione viene impartita da un genitore, persona cioè con la quale ho un legame affettivo, è un conto, se invece arriva da un poliziotto è un altro.
Mandare in prigione questi ragazzi – fa l’esempio – è quanto di più sbagliato si possa fare, poiché inizieranno ad identificarsi coi delinquenti, non come persone che hanno commesso errori ma che possono riparare. E’ come se fossero incitati alla devianza”.
Alcuni dei componenti della cosiddetta "banda delle biglie", mentre erano sotto processo, hanno continuato a compiere atti illeciti, tra cui il tentato furto di un Ape Piaggio a Fiorentino, e altre ruberie in locali pubblici, delle quali non risponderanno perché non è stata presentata denuncia.
La Gendarmeria li conosce, sa chi sono, ma essendo tutti maggiorenni i ragazzi hanno chiesto ed ottenuto di non far sapere nulla ai loro familiari. Parlare coi genitori, a quanto pare, non serve: tendono a giustificare i propri figli e ad incolpare le forze dell’ordine perché li perseguitano.
Ma com’è possibile che nemmeno il fatto di essere sotto processo abbia indotto i giovani al ragionamento?
Secondo il dottor Bastianelli, responsabile del servizio neuropsichiatrico, “questi giovani provano un evidente senso di onnipotenza e di impunità. Se hanno continuato ad agire come nulla fosse, evidentemente non si preoccupano delle conseguenze e pensano che, in realtà, non debbano fare i conti con la realtà. Il rischio di oggi – continua – è che certe funzioni educative, una volta demandate esclusivamente alla famiglia, siano passate all’autorità, alle forze dell’ordine, ai tribunali. Ma se l’educazione viene impartita da un genitore, persona cioè con la quale ho un legame affettivo, è un conto, se invece arriva da un poliziotto è un altro.
Mandare in prigione questi ragazzi – fa l’esempio – è quanto di più sbagliato si possa fare, poiché inizieranno ad identificarsi coi delinquenti, non come persone che hanno commesso errori ma che possono riparare. E’ come se fossero incitati alla devianza”.
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