Ha accettato l’ambito riconoscimento con “profonda gratitudine e umiltà”, Barack Obama. Nel suo discorso alla cerimonia di consegna del Nobel, il capo della Casa Bianca ha parlato della controversia intorno all’attribuzione del premio, affermando di essere “solo all’inizio dei suoi lavori sulla scena internazionale”. “Rispetto a Martin Luther King e a Nelson Mandela i miei traguardi sono veramente piccoli”, ha detto ancora Obama. Il presidente ha poi sottolineato l’ironia per il presidente di un Paese “coinvolto in due guerre” di ricevere il premio per la pace. “Una di queste sta finendo”, ha però precisato, “non ho con me oggi una soluzione definitiva ai problemi della guerra, quello che invece so è che per affrontare queste sfide è necessaria la stessa visione, lo stesso lavoro duro e la stessa insistenza di quegli uomini e quelle donne che hanno agito con coraggio decenni fa. E a noi è richiesto di ripensare le nozioni di guerra giusta e gli imperativi di una pace giusta”.
Sul tema più spinoso, l’Afghanistan, il presidente americano ha poi assicurato che non c’è “nessuna ambiguità” nell’indicazione di luglio 2011 come data di inizio del ritiro delle truppe. “Ma la guerra non è mai gloriosa – ha aggiunto – è semmai una premessa di tragedia umana”. Il presidente ha poi ricordato importanti esempi di impegno per l’affermazione della democrazia, citando la silenziosa dignità di Aung San Suu Kyi, il coraggio dei cittadini dello Zimbawe che sono andati a votare, e le centinaia di iraniani che hanno marciato in silenzio lungo le strade del loro Paese.
Silvia Pelliccioni
Sul tema più spinoso, l’Afghanistan, il presidente americano ha poi assicurato che non c’è “nessuna ambiguità” nell’indicazione di luglio 2011 come data di inizio del ritiro delle truppe. “Ma la guerra non è mai gloriosa – ha aggiunto – è semmai una premessa di tragedia umana”. Il presidente ha poi ricordato importanti esempi di impegno per l’affermazione della democrazia, citando la silenziosa dignità di Aung San Suu Kyi, il coraggio dei cittadini dello Zimbawe che sono andati a votare, e le centinaia di iraniani che hanno marciato in silenzio lungo le strade del loro Paese.
Silvia Pelliccioni
Riproduzione riservata ©