La prima azione concreta dell'UE – nel caos del post-Brexit, segnato dal catastrofico venerdì delle borse europee – è stata l'immediata sostituzione del commissario europeo per i servizi finanziari. Al dimissionario Jonathan Hill, uomo fidato di David Cameron, giunto ormai al capolinea della carriera politica, subentra – ad interim - il vicepresidente della Commissione: il lettone Valdis Dombrovkis. La decisione è stata presa in tutta fretta da Jean Claude Juncker, forse per dimostrare che l'UE è in grado di reagire al sonoro ceffone ricevuto. “Quello tra Unione Europea e UK – ha detto amareggiato lo stesso Juncker - non sarà un divorzio consensuale, ma non è stata neppure una grande storia d'amore”. L'obiettivo dell'establishment di Bruxelles, a questo punto, è iniziare quanto prima i negoziati con Londra per l'uscita. Volontà confermata dal ministro agli esteri tedesco Steinmeier, dopo la riunione con i 5 colleghi degli altri Paesi fondatori dell'Ue. Non viene vista di buon occhio, insomma, la scelta del Regno Unito di iniziare le trattative al termine delle elezioni che si terranno in ottobre. Intanto avrebbe già raggiunto il milione e mezzo di firme la petizione on-line – promossa da alcuni parlamentari britannici - per chiedere un nuovo referendum sulla Brexit. Iniziativa giudicata velleitaria da vari analisti; ben più solide e pericolose - invece – le spinte centrifughe della Scozia: Il Primo Ministro di Edimburgo, Nicola Sturgeon, invoca “l'avvio immediato” di negoziati con l'Ue per difendere – afferma - “gli interessi del popolo scozzese”. Nel frattempo sale l'attesa per le elezioni di domani in Spagna, dopo 6 mesi di paralisi istituzionale a Madrid. Podemos, movimento critico nei confronti delle politiche dell'Unione - ma comunque non euroscettico –, è dato in seconda posizione, subito dietro il Partito Popolare di Mariano Rajoy.
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