Anche se le buone notizie riescono sempre a deludere un certo pubblico mentre quelle cattive, Dio sa perchè, non lo deludono mai ma anzi lo entusiasmano in una sorta di libido masochista, ció non toglie che di buone notizie - ovviamente vere e verificate - qualsiasi tessuto sociale ne ha comunque un bisogno disperato.
Una buona e a mio personale avviso non piccola notizia di questi giorni dunque è quella che la Commissione Giustizia a Palazzo Pubblico ha dichiarato parere favorevole alla richiesta del Tribunale di poter emettere comunicati ufficiali "volti a fornire alla cittadinanza informazioni di natura istituzionale inerenti l'attività giudiziaria qualora lo ritenga necessario ed opportuno in relazione a questioni di rilevanza pubblica".
Bene ha fatto la Commissione, meglio ancora ha fatto il magistrato dirigente Valeria Perfelici (da cui era partita formalmente la richiesta) a sollevare e a risolvere un problema tutt'altro che marginale.
Chi scrive ricorda bene gli anni della giustizia spettacolo italiana - quella che Indro Montanelli definiva non a caso "un orrore" - con la sua scia di suicidi, di processi mediatici e di colpevoli decisi in tv, di avvocati e di magistrati "prime donne" che di fronte ai cinque minuti di popolarità mediatica fasulla svendevano ciò che è alla base della Giustizia cioè il rispetto delle leggi e dei cittadini.
Erano anni difficili. Certi magistrati o certi avvocati, specularmente uguali, lavoravano in pool con certi giornalisti e certe notizie uscivano in un certo modo, spesso a orologeria, a seguire una certa regia che poi magari veniva smontata in cassazione o in assise.
Non tutta la giustizia italiana era questo ma il circo della giustizia-spettacolo è stato una bruttissima significativa pagina italiana. Occorre considerare peraltro che non esiste Paese e sistema giudiziario che non corra o questi rischi, dove appunto certa magistratura inquirente - meno, bisogna dire, quella giudicante - e certa avvocatura non concentrino tutto il loro operato sulla morbosa ricerca delle luci della ribalta, aiutati da qualche media e da qualche fetta di pubblico interessati più al voyeurismo che alla trasparenza. "La giustizia-spettacolo - scriveva appunto Indro Montanelli il 17 febbraio del 1995 - oltre a farmi orrore, non mi ha mai rivelato alcunchè. E quando credevo che mi rivelasse qualcosa, poi mi accorgevo che si trattava di un inganno."
Bene dunque - sopratutto per chi preferirebbe come il sottoscritto che i processi si raccontassero nelle aule e non nei corridoi o nei bar dei tribunali - che il Tribunale abbia la possibilità di avere e dare voce al suo operato, anche a tutela del segreto istruttorio che troppo spesso, in qualsiasi Paese viene interpretato per gli amici e applicato per i nemici.
La Giustizia è o dovrebbe essere uguale per tutti, simpatici o antipatici, uomini di potere o meno, geni o cialtroni, invidiosi o invidiati che siano. Il provvedimento sollecitato ieri dal Tribunale e accolto dalla Commissione Giustizia fa ben sperare. La giustizia e la scuola sono le chiavi del presente e del futuro di qualsiasi organizzazione sociale. Se funzionano loro, il Paese bene o male va avanti perchè il resto seguirà necessariamente.
Carlo Romeo
Una buona e a mio personale avviso non piccola notizia di questi giorni dunque è quella che la Commissione Giustizia a Palazzo Pubblico ha dichiarato parere favorevole alla richiesta del Tribunale di poter emettere comunicati ufficiali "volti a fornire alla cittadinanza informazioni di natura istituzionale inerenti l'attività giudiziaria qualora lo ritenga necessario ed opportuno in relazione a questioni di rilevanza pubblica".
Bene ha fatto la Commissione, meglio ancora ha fatto il magistrato dirigente Valeria Perfelici (da cui era partita formalmente la richiesta) a sollevare e a risolvere un problema tutt'altro che marginale.
Chi scrive ricorda bene gli anni della giustizia spettacolo italiana - quella che Indro Montanelli definiva non a caso "un orrore" - con la sua scia di suicidi, di processi mediatici e di colpevoli decisi in tv, di avvocati e di magistrati "prime donne" che di fronte ai cinque minuti di popolarità mediatica fasulla svendevano ciò che è alla base della Giustizia cioè il rispetto delle leggi e dei cittadini.
Erano anni difficili. Certi magistrati o certi avvocati, specularmente uguali, lavoravano in pool con certi giornalisti e certe notizie uscivano in un certo modo, spesso a orologeria, a seguire una certa regia che poi magari veniva smontata in cassazione o in assise.
Non tutta la giustizia italiana era questo ma il circo della giustizia-spettacolo è stato una bruttissima significativa pagina italiana. Occorre considerare peraltro che non esiste Paese e sistema giudiziario che non corra o questi rischi, dove appunto certa magistratura inquirente - meno, bisogna dire, quella giudicante - e certa avvocatura non concentrino tutto il loro operato sulla morbosa ricerca delle luci della ribalta, aiutati da qualche media e da qualche fetta di pubblico interessati più al voyeurismo che alla trasparenza. "La giustizia-spettacolo - scriveva appunto Indro Montanelli il 17 febbraio del 1995 - oltre a farmi orrore, non mi ha mai rivelato alcunchè. E quando credevo che mi rivelasse qualcosa, poi mi accorgevo che si trattava di un inganno."
Bene dunque - sopratutto per chi preferirebbe come il sottoscritto che i processi si raccontassero nelle aule e non nei corridoi o nei bar dei tribunali - che il Tribunale abbia la possibilità di avere e dare voce al suo operato, anche a tutela del segreto istruttorio che troppo spesso, in qualsiasi Paese viene interpretato per gli amici e applicato per i nemici.
La Giustizia è o dovrebbe essere uguale per tutti, simpatici o antipatici, uomini di potere o meno, geni o cialtroni, invidiosi o invidiati che siano. Il provvedimento sollecitato ieri dal Tribunale e accolto dalla Commissione Giustizia fa ben sperare. La giustizia e la scuola sono le chiavi del presente e del futuro di qualsiasi organizzazione sociale. Se funzionano loro, il Paese bene o male va avanti perchè il resto seguirà necessariamente.
Carlo Romeo
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