Marlise Munoz è cerebralmente morta. Ma è anche incinta. Ed è per questo, per proteggere il feto non nato che porta in grembo, che le autorità del Texas, contro il parere dei genitori e del marito, non intendono staccarle la spina. Una vicenda che per alcuni versi ricorda quella italiana recente di Carolina Sepe, che ha partorito dopo quattro mesi di coma vegetativo, vittima di uno sparo alla testa in una lite e che è morta il 4 gennaio all'ospedale Cardarelli di Napoli. Ma anche un caso Terri Schiavo alla rovescia, che solleva interrogativi bioetici in America dove, senza il clamore suscitato dal caso della donna della Florida in persistente stato vegetativo il cui dramma medico e familiare arrivò nel 2005 alla Corte Suprema, vicende analoghe dividono l'opinione pubblica. E' di qualche giorno fa la polemica su Jahi McMath, una tredicenne dichiarata cerebralmente morta dopo un intervento banale alle tonsille: il suo cuore batte ancora, ma i genitori non si sono rassegnati e l'hanno fatta trasportata in una struttura dove il suo corpo possa continuare a vivere in parallelo alla loro speranza che non vuole morire. Diverso, quasi all'opposto, il caso di Marlise, crollata sul pavimento della cucina lo scorso novembre per un embolo ai polmoni. Mamma, papà e marito erano pronti a dirle addio nell'unità di rianimazione del John Peter Hospital di Fort Worth, quando hanno appreso che l'ospedale non avrebbe esaudito la loro richiesta di staccare la spina. Marlise era incinta di 14 settimane: il Texas è uno degli stati che proibiscono al personale sanitario di interrompere la vita di una donna in gravidanza. E' passato oltre un mese e Marlise è rimasta attaccata alle macchine salva-vita mentre i medici sorvegliavano il battito cardiaco del feto arrivato alla ventesima settimana: Una vicenda terribile, un campo di battaglia di questioni etiche fondamentali sul diritto alla vita e alla morte. Per Lynne Machado, la mamma di Marlise, "non è questione di essere pro-choice o o pro-life": è in gioco "la volontà di nostra figlia che lo stato del Texas non intende rispettare". L'ospedale insiste che non fa altro che obbedire alla legge: approvata nel 1989 e emendata dieci anni dopo, proclama che nessuno può negare a una paziente incinta le terapie salvavita. Perplessi gli esperti di bioetica: "Se è cerebralmente morta, è morta e non è più una paziente", ha detto Thomas Mayo della Southern Methodist University di Dallas, con cui concorda Arthur Kaplan, forse il maggiore esperto Usa in materia: "La legge non può imporre ai medici di fare l'impossibile e curare qualcuno che è andato all'altro mondo". Sono 31 negli Usa gli stati che limitano il potere di staccare la spina a donne incinte malate terminali a prescindere dai desideri della paziente o della famiglia. Il Texas è tra i 12 con le norme più restrittive che impongono il proseguimento delle terapie a prescindere dallo stato di avanzamento della gravidanza.
Riproduzione riservata ©