“Sono un condannato a morte”; l'aveva ripetuto più volte, Paolo Borsellino, prima di quel 19 luglio del 1992: definito da alcuni l'annus horribilis della Repubblica, quello in cui Cosa Nostra mirò direttamente ai simboli della lotta alla criminalità organizzata. Erano le 16.58, a Palermo, quando una Fiat 126 rubata, contenente 90 chilogrammi di Semtex, esplose in via D'Amelio, sotto il palazzo dove viveva la madre del Magistrato, che era andato a farle visita. La deflagrazione fu potentissima, e non lasciò scampo a Borsellino e a 5 agenti di scorta. I funerali – a poche settimane dal martirio di Falcone - furono caratterizzati dalla rabbia, dei palermitani onesti, nei confronti delle autorità politiche; lo stesso Presidente della Repubblica venne strattonato. Rabbia, e dolore, ancora ben presenti nelle parole dell'ultimogenita del Giudice, Fiammetta, che ha parlato oggi di “25 anni di schifezze e menzogne”. “All'Antimafia – ha detto la figlia di Borsellino - consegnerò inconfutabili atti processuali dai quali si evincono le manovre per occultare la verità sulla trama di via D'Amelio”. “La mafia – ha dichiarato il Presidente Mattarella nella commemorazione al CSM – non è un male ineluttabile”. Aggiungendo però che “troppe incertezze ed errori” hanno accompagnato la ricerca della verità sulla strage del 19 luglio.
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