Marzo, il primo mese dell’anno nel calendario romano, era dedicato a Marte, il dio della guerra. Il 20 marzo del 2003 è scoppiata la seconda guerra del Golfo, l’operazione “Iraqi Freedom”. Una coalizione di 35 paesi, obiettivo la caduta di Saddam Hussein. La guerra che finisce ufficialmente il primo maggio dello stesso anno, la cattura del rais che interverrà a dicembre, la guerra civile che durerà anni, la catena degli attentati che non si è mai interrotta. Il 19 marzo del 2011, otto anni dopo, a distanza di poche ore da quella data, gli eventi precipitano e la “coalizione dei volenterosi”, cinque paesi (Francia, Uk, Usa, Canada e Italia) danno corpo alla risoluzione dell’Onu n. 1973 e la Libia è sotto attacco. Raid aerei francesi e inglesi, missili Tomahawk americani sugli obiettivi sensibili del colonnello Gheddafi, che arma anche i civili e minaccia l’inferno. 25 unità congiunte di marina (navi da guerra e sottomarini) danno supporto nelle acque antistanti la Libia, sette basi italiane sono in stato dall’erta, anche 8 Tornado italiani sono pronti al decollo, Napoli è il centro del coordinamento dell’operazione Odyssey Dawn, l’alba dell’Odissea. “Sarà una guerra lunga” - minaccia Gheddafi.
La questione è seria e ci riguarda anche geograficamente da vicino. La costa libica è a neanche 200 miglia dalla nostra, il primo punto sensibile è Lampedusa, già bersaglio dei missili libici nel 1986, benché l’attacco corto, finì nell’acqua. Ma non è questo il cuore del problema. Inquieta la confusione e l’accelerazione improvvisa degli avvenimenti: una guerra nel Mare Nostrum, nelle divisioni dell’Europa, nelle divisioni interne alle nazioni dell’Europa, con gli Stati Uniti, che si sono dovuti affrettare ad assumere la leadership della coalizione, mentre la Lega Araba è divisa e la Russia e la Cina sono contrarie.
Giova ricordare le polemiche sui ritardi dell’intervento: se la risoluzione 1973 parla espressamente di “to take all feasible steps to ensure the protection of civilians, condemnig the gross and systematic violation of human rights” perché si è atteso oltre un mese, lasciando intanto campo libero ai tanks e agli aerei di Gheddafi, che hanno fatto strage tra i civili, piegando un’insurrezione male armata, disorganizzata e quasi minorenne, considerando che hanno impugnato le armi soprattutto i più giovani?
E l’indubbio successo diplomatico del presidente Sarkozy, che nel vertice dei capi di stato e di governo a Parigi è riuscito a battere tutti sul tempo, costringendo alla rincorsa britannici e americani, non esprime un disegno strategico, piuttosto che umanitario, ancora una volta in un’Europa, tutt’altro che unita, anzi sostanzialmente legata agli interessi nazionali, di fronte al tesoro energetico della Libia?
E la desolante improvvisazione del governo italiano, diviso e contraddittorio - come riportano anche le news internazionali - che avrebbe potuto svolgere un’importante mediazione diplomatica, senza arrivare al peggio, tutelando tra l’altro i suoi interessi, che la vedono al primo posto nelle importazioni di petrolio libico e al terzo per le forniture di gas, con impianti italiani in quel paese? Il ruolo di Roma, rispetto a Tripoli, ne verrà comunque ridimensionato e considerando la posizione “frontaliera” dell’Italia, il prezzo sarà comunque troppo alto, mentre il suo credito è sceso.
Certo, un rais che fosse tornato alla pienezza del potere, dopo aver vinto anche la resistenza di Bengasi, riconquistando la Cirenaica, sarebbe stata una minaccia spropositata, ma questo conflitto è atipico, improvviso e con margini di eccessiva incertezza, nello sbigottimento di cittadinanze pacifiche e impreparate. Potranno gli osservatori presenti sul territorio libico già da un paio di settimane (esperti militari, addestratori sia europei sia americani) scongiurare davvero la necessità di un attacco di terra, dopo quello dal cielo, per chiudere nel tempo più breve possibile la pagina Gheddafi? E se così non fosse?
Considerando poi che quel “cane pazzo” - come Ronald Reagan definiva il colonnello - ha già dimostrato infinite volte la sua criminale spregiudicatezza e continua nelle minacce, parlando di inferno; del mediterraneo come un campo di battaglia; di obiettivi civili e militari da colpire; della sua collera. E proprio lui definisce criminali, i governi occidentali, c’è da aspettarsi di tutto. Troppi, oramai, i liberi professionisti della guerra, i mercenari del terrore, che a prescindere dalla ideologizzazione religiosa, sono pronti all’ingaggio, pronti a qualunque azione, se ben pagati.
Non resta che seguire gli avvenimenti, pretendendo almeno condivisione e coerenza dai governi, nella lucidità dell’azione militare e nella speranza che la paura resti lontana.
Carmen Lasorella
La questione è seria e ci riguarda anche geograficamente da vicino. La costa libica è a neanche 200 miglia dalla nostra, il primo punto sensibile è Lampedusa, già bersaglio dei missili libici nel 1986, benché l’attacco corto, finì nell’acqua. Ma non è questo il cuore del problema. Inquieta la confusione e l’accelerazione improvvisa degli avvenimenti: una guerra nel Mare Nostrum, nelle divisioni dell’Europa, nelle divisioni interne alle nazioni dell’Europa, con gli Stati Uniti, che si sono dovuti affrettare ad assumere la leadership della coalizione, mentre la Lega Araba è divisa e la Russia e la Cina sono contrarie.
Giova ricordare le polemiche sui ritardi dell’intervento: se la risoluzione 1973 parla espressamente di “to take all feasible steps to ensure the protection of civilians, condemnig the gross and systematic violation of human rights” perché si è atteso oltre un mese, lasciando intanto campo libero ai tanks e agli aerei di Gheddafi, che hanno fatto strage tra i civili, piegando un’insurrezione male armata, disorganizzata e quasi minorenne, considerando che hanno impugnato le armi soprattutto i più giovani?
E l’indubbio successo diplomatico del presidente Sarkozy, che nel vertice dei capi di stato e di governo a Parigi è riuscito a battere tutti sul tempo, costringendo alla rincorsa britannici e americani, non esprime un disegno strategico, piuttosto che umanitario, ancora una volta in un’Europa, tutt’altro che unita, anzi sostanzialmente legata agli interessi nazionali, di fronte al tesoro energetico della Libia?
E la desolante improvvisazione del governo italiano, diviso e contraddittorio - come riportano anche le news internazionali - che avrebbe potuto svolgere un’importante mediazione diplomatica, senza arrivare al peggio, tutelando tra l’altro i suoi interessi, che la vedono al primo posto nelle importazioni di petrolio libico e al terzo per le forniture di gas, con impianti italiani in quel paese? Il ruolo di Roma, rispetto a Tripoli, ne verrà comunque ridimensionato e considerando la posizione “frontaliera” dell’Italia, il prezzo sarà comunque troppo alto, mentre il suo credito è sceso.
Certo, un rais che fosse tornato alla pienezza del potere, dopo aver vinto anche la resistenza di Bengasi, riconquistando la Cirenaica, sarebbe stata una minaccia spropositata, ma questo conflitto è atipico, improvviso e con margini di eccessiva incertezza, nello sbigottimento di cittadinanze pacifiche e impreparate. Potranno gli osservatori presenti sul territorio libico già da un paio di settimane (esperti militari, addestratori sia europei sia americani) scongiurare davvero la necessità di un attacco di terra, dopo quello dal cielo, per chiudere nel tempo più breve possibile la pagina Gheddafi? E se così non fosse?
Considerando poi che quel “cane pazzo” - come Ronald Reagan definiva il colonnello - ha già dimostrato infinite volte la sua criminale spregiudicatezza e continua nelle minacce, parlando di inferno; del mediterraneo come un campo di battaglia; di obiettivi civili e militari da colpire; della sua collera. E proprio lui definisce criminali, i governi occidentali, c’è da aspettarsi di tutto. Troppi, oramai, i liberi professionisti della guerra, i mercenari del terrore, che a prescindere dalla ideologizzazione religiosa, sono pronti all’ingaggio, pronti a qualunque azione, se ben pagati.
Non resta che seguire gli avvenimenti, pretendendo almeno condivisione e coerenza dai governi, nella lucidità dell’azione militare e nella speranza che la paura resti lontana.
Carmen Lasorella
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