La fibromialgia, che in Italia colpisce quasi due milioni di persone, è una sindrome ancora misconosciuta, tanto che solo un italiano su tre sa di cosa si tratta e appena in un caso su due la malattia riceve una diagnosi. Il 12 maggio si è svolta la Giornata Mondiale della Fibromialgia e tutte le piazze e i monumenti italiani si sono colorati di viola per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni del paziente fibromialgico sofferente di una patologia spesso trascurata che la pandemia ha contribuito ad aggravare ulteriormente.
Benedetta de Mattei ha intervistato il prof. Piercarlo Sarzi Puttini, Direttore dell’UOC di Reumatologia Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano e Presidente dell’Associazione italiana Sindrome Fibromialgica (Aisf-Odv) – per capire cos’è la fibromialgia, come riconoscerla e quali sono le cause di questa malattia purtroppo ancora spesso invisibile.
Cosa è la fibromialgia e quante persone ne soffrono in Italia?
La sindrome fibromialgica è una patologia cronica caratterizzata da dolore muscolo scheletrico diffuso che interessa un pò tutto il corpo. In Italia ne soffrono approssimativamente 1.5 – 2 milioni di persone, circa il 2-3% della popolazione. E’ una patologia prevalentemente femminile, il rapporto è 4 a 1, che può comparire a qualsiasi età ma il picco si colloca tra i 40 e i 60 anni con importanti ripercussioni sul piano affettivo e sociale. E’ una malattia mente-corpo, alla cui base vi è un’alterazione della percezione del dolore.
Quali sono le cause della fibromialgia?
Esiste sicuramente una predisposizione genetica, che può essere legata sia al nostro patrimonio genetico sia al modello educativo in cui si è cresciuti. Molti dei nostri pazienti hanno infatti ricevuto dei tipi di educazione che sembrano essere predisponenti per questa malattia; tra questi ricordiamo alcuni dei modelli che spesso vediamo ripetersi:
- Famiglia tutta orientata al senso del dovere, il cosiddetto “doverismo”
- Famiglia anaffettiva, dove i genitori sono presenti ma incapaci di trasmettere amore ai propri figli
- Famiglia con abusi psichici, fisici o sessuali
- Famiglia in cui si richiedono eccessive prestazioni ai ragazzi
Poi vi sono dei fattori ambientali di tipo traumatico che tendono a scatenare questa malattia che sono rilevanti soprattutto nell’età infanto-giovanile, ossia vi è un periodo nei primi anni della nostra esistenza in cui sostanzialmente le esperienze negative fatte modificano la nostra percezione del dolore. Cosa accade? Che questi ragazzi escono dalla fase dell’adolescenza con bassa autostima e scarsa considerazione di se stessi diventando spesso iperattivi. Magari per 15-20 anni sono dei super uomini e delle super donne che lavorano 23 ore al giorno e fanno mille cose poi a un certo punto quando il sistema neuro endocrino viene meno e si spengono come cerini. E questa è la storia della stragrande maggioranza dei nostri pazienti. E’ bene ricordare che un forte trauma, soprattutto cronico, anche in età adulta riveste un ruolo importante e può scatenare in un soggetto predisposto la sindrome fibromialgica.
Quindi cosa fare per prevenire questa malattia?
Una degli obiettivi su cui stiamo lavorando riguarda l’ambito scolastico e familiare dove è importante che i ragazzi crescano in maniera creativa ed abbiano la possibilità di realizzarsi secondo le proprie attitudini. Quello che dico sempre ai miei pazienti è che la famiglia di origine in cui si nasce può essere la cosa più bella o più difficile che possa capitare, perché può rappresentare un modello da cui spiccare il volo per una vita felice ma può anche essere quella che ti uccide prima che tu abbia la possibilità di confrontarti con il mondo esterno. E questa è una tema estremamente rilevante che spesso non si affronta perché è difficile e in parte un tabù. Una caratteristica dei pazienti fibromialgici è quella di avere una bassa resilienza, cioè di incapacità nel gestire lo stress cronico.
Quali sono i sintomi della fibromialgia?
Il sintomo principale è il dolore muscolo scheletrico diffuso da almeno 3 mesi e dal 2010 si rilevano altri 3 segni cardinali: alterazione del sonno, stanchezza sia mentale che fisica e disturbi neurocognitivi, come difficoltà a concentrarsi e perdita della memoria a breve termine. A questi sintomi si associano anche aspetti di tipo psico-affettivo come ansia e depressione, perché ovviamente quando un disturbo persiste per mesi è difficile non sviluppare un sintomo riguardante l’umore. Il paziente fibromialgico ha inoltre generalmente un’alterazione soggettiva sensoriale: può ad esempio vedere doppio o annebbiato, sentire degli odori strani, rumori anomali, può essere intollerante al caldo o al freddo. Ma nessuno di questi sintomi è associato ad alcuna evidenza di alterazione fisica, biologica o strumentale e dunque la diagnosi è strettamente clinica e avviene sempre dopo un'accurata anamnesi della storia del paziente.
Come si arriva alla diagnosi?
La diagnosi è basata sulla presenza di dolore diffuso in combinazione con la presenza di tender points evocabili alla digitopressione. Non vi è alcun esame strumentale che possa diagnosticare la fibromialgia ma questi test sono utili eventualmente per escludere la presenza di altre patologie, come l’ipotiroidismo, che possono causare sintomi simili. Essendo i segni di fibromialgia così generici e spesso sono simili a quelli di altre malattie, molti pazienti vanno incontro a complicate e a volte ripetitive valutazioni prima che venga diagnosticata tale patologia.
Quale cura?
Per poter definire il piano terapeutico più corretto, sia al tipo di dolore che alla tipologia del paziente, è fondamentale studiare la storia della singola persona. Ci sarà quello a cui si daranno solo i farmaci, chi dovrà fare una psicoterapia o qualcun’un altro che dovrà concentrarsi sul recupero della forma fisica perché magari è obeso. E’ importante ad ogni modo che la patologia venga spiegata accuratamente al paziente, il quale va educato anche alla terapia e a come prendersi cura di se stesso per gestire al meglio la sindrome fibromialgica. Essendo il quadro molto complesso, è una malattia difficile che può spesso rimanere invisibile e per questa ragione è importante parlarne, per fare in modo che diventi visibile e il paziente si senta meno solo.
Benedetta de Mattei