Contro i bracconieri del mare, una storica sentenza. Esulta WWF, che da oltre 60 anni si batte a difesa dell'ambiente e delle specie più a rischio. Il tribunale di Napoli riconosce la ricettazione dei datteri di mare, con condanne fino a sei anni. Si conclude così una vasta operazione di Guardia Costiera e Fiamme Gialle, che ha sgominato nel 2021 una fitta rete dedita alla pesca illegale, responsabile della distruzione di enormi porzioni di fondale marino nell’area del Golfo di Napoli e dei faraglioni di Capri.
Dopo le dure condanne inflitte lo scorso anno ai pescatori, viene ora coinvolto un ulteriore anello della filiera criminale. La pronuncia del tribunale riguarda infatti intermediari e rivenditori, quindi le pescherie, che vendevano sotto banco i datteri per oltre 100 euro al chilo. Enorme il volume d'affare, incalcolabili i danni all'ambiente. Sì, perché “pescare” il dattero di mare significa distruggere la roccia calcarea in cui vive. Per farlo vengono usati martelli pneumatici, incisori, persino ordigni esplosivi.
Il dattero di mare è un mollusco dalla crescita lenta, che raggiunge i 5 cm dai 15 ai 35 anni. Pescandolo si dimezza la sua presenza in mare. Il gusto del proibito ha desertificato a colpi di scalpello chilometri di costa: il bracconaggio – rimarca il WWF – è fenomeno sempre più diffuso e redditizio. La sentenza non stroncherà il mercato illegale ma ha scardinato una diffusa visione, erroneamente riduttiva, dei crimini contro la fauna selvatica, considerati reati minori perché non valutati nella loro complessità.
Ma non basta: l'associazione ambientalista chiede a Parlamento e Governo di fornire alle Autorità strumenti più idonei per contrastare efficacemente questi crimini, sia a livello normativo che in termini di uomini e mezzi. Ed invita ad investire in formazione e sensibilizzazione, per scardinare l'idea che – in fondo – non ci sia nulla di male a provare il frutto proibito. Ignorando che un solo piatto di datteri equivale ad un metro di fondale marino distrutto.