Il primo pensiero va alla vicinanza che, nonostante l'isolamento, sentiva forte da parte di amici e colleghe. “Non potevo avere nessun contatto con l'esterno, ma ho ricevuto gesti di altruismo spesso inaspettati”, racconta C., mamma di un bimbo sammarinese di 8 anni che “ha passato davvero l'inferno”. Tutto inizia il 20 aprile con quella che poteva sembrare una gastroenterite. Questa però, col passare dei giorni, non tendeva a diminuire. Aumentava anzi d'intensità, con l'aggiunta di una febbre alta, anche di 39 gradi. Il quarto giorno si decide quindi per un ricovero all'Ospedale di Stato dove, visti i forti dolori addominali, si ipotizza un'appendicite. Prima del ricovero, madre e figlio sono sottoposti al tampone e si scopre la positività di entrambi. Quindi un possibile contagio in famiglia ma, specifica, "N. non ha mai avuto neanche un colpo di tosse”. L'ipotesi appendicite è ben presto accantonata e il bimbo rimane nel reparto di Pediatria, in una camera Covid, quindi isolata.
Il bambino però non migliora. Gli operatori sanitari gli notano inoltre strane eruzioni cutanee che possono far pensare alla malattia di Kawasaki, un'infiammazione dei vasi sanguigni , che attacca le arterie di piccola e media dimensione, andando soprattutto ad agire negativamente sulle arterie coronarie dei bambini dai 0 ai 5 anni. Le condizioni del piccolo si aggravano e si rende necessario il trasporto all'ospedale Inferni di Rimini, dove viene preso in carico da un'equipe specializzata composta, tra gli altri, da un medico rianimatore e una cardiologa pediatrica. “Ho voluto subito conoscere le vere condizioni di mio figlio – ci dice la madre – ed i medici hanno fornito un quadro clinico critico”. Era quindi in pericolo di vita? “Sì, per tre giorni la situazione è stata davvero appesa a un filo”.
Per oltre una settimana, la madre ha così vissuto col figlio all'interno di una camera creata appositamente. A complicare ulteriormente le cose, la positività della madre che non ha potuto così contare sull'aiuto di nessuno. “Avrei potuto richiedere di entrare nel reparto Covid, ma non avrei abbandonato mio figlio neanche per un minuto”. Nella preoccupazione di quei giorni, rimangono impressi nella mente i piccoli gesti: “Non c'era medico e infermiere che, passando davanti alla camera, non bussasse al vetro per salutarlo. Era di certo il più coccolato di tutti”. “Purtroppo l'equipe, per quanto davvero impeccabile, aveva a che fare con un caso praticamente mai studiato”. È possibile, come gli esperti hanno spiegato alla madre, che il coronavirus possa scatenare la malattia di Kawasaki anche in bambini sopra i 5 anni d'età. Ma finora sono solo ipotesi, la casistica, in tutto il mondo, è troppo bassa.
“Una notte – prosegue nel racconto – la situazione stava precipitando”. Il monitor in cui venivano visionati i parametri vitali del piccolo ha iniziato a suonare. “In un minuto la stanza si è riempita di medici e infermieri”, riferisce non senza fatica. “Le pulsazioni del cuore erano bassissime, sotto i 40 battiti al minuto”. L'infiammazione alle coronarie stava avendo la meglio. Per fortuna N. non è un bimbo che si lascia vincere facilmente ed ha risposto positivamente alle cure, “ma fino alla mattina quell'allarme ci ha fatto diventare matti. È un suono che mi porterò dietro per sempre”, ammette la mamma.
Con l'andare dei giorni e con piccoli miglioramenti giornalieri, la situazione si è stabilizzata fino alla possibilità del rientro all'ospedale di San Marino dove il bambino è rimasto sotto monitoraggio per altri tre giorni. Poi, finalmente, il 6 maggio il ritorno a casa e alla normalità. “Quasi alla normalità – puntualizza – perché, anche se non è bello da dire, ma mio figlio continuerà ad essere studiato (sorride n.d.r.). Dovranno capire se svilupperà gli anticorpi e come un bambino sanissimo, senza altre patologie pregresse, possa essere arrivato in breve tempo ad accusare una situazione così grave”.
Qual è stata, le abbiamo chiesto, la prima cosa che ha fatto N. rientrando in casa? “Gli mancavano molto la sua cameretta e i suoi giochi. È appassionato di elettronica e mentre eravamo nel reparto di Rianimazione è “andato in fissa” con la GoPro. Ne parlava continuamente. Non vedeva l'ora di montarla sul casco della bici per fare i video delle sue corse”. Il personale sanitario, rimarca, ha detto che questo stimolo gli è stato molto utile per sopportare con coraggio i vari trattamenti, di certo poco piacevoli. "È stato davvero un guerriero, un super eroe". Ora quindi sa già che regalo fargli... “In realtà ora stiamo aspettando l'arrivo di una “postazione volante”. Per lui l'importante è che si corra”.
Il peggio dunque è passato. Il bambino è già tornato, anche se con le dovute cautele e per un raggio a dir poco ridotto, a correre sulla sua amata bicicletta. “Ho voluto raccontare la nostra storia per dire ai genitori di non sottovalutare i sintomi dei propri figli, anche se non coinvolgono l'apparato respiratorio. Gli effetti del coronavirus – le è stato spiegato dagli esperti – sono ancora poco conosciuti, soprattutto sui bambini”. “Se c'è qualcosa che non va, – rimarca – non aspettate. Chiedete subito una visita”. Infine, prima di chiudere una telefonata che ha toccato molto anche l'ascoltatore, C. ha voluto fortemente ringraziare tutte le persone che le sono stati vicino, con messaggi o aiuti più o meno concreti: "Siamo stati sommersi dall'affetto di tante persone e non ce ne dimenticheremo. In queste situazioni - conclude - i gesti di solidarietà sono di grande sostegno, direi fondamentali".