E’ “la fine del falso Stato dell’Isis” ha affermato solennemente il premier iracheno Haidar al-Abadi, durante la sua visita a Mosul, in festa dopo la liberazione. A dire il vero gruppi di fanatici continuano a combattere tra le rovine della città vecchia, ma la partita – in quella che fino a poco tempo fa era una delle due capitali del DAESH – sembra ormai conclusa. Vittoria strategica, quella ottenuta dall'esercito iracheno, ma anche di altissimo valore simbolico: proprio qui, nel luglio del 2014, alla moschea Al Nuri, Abu Bakr al Baghdadi proclamava la rinascita del Califfato. Ora voci sempre più insistenti sembrerebbero confermare la morte dello stesso leader del sedicente Stato Islamico, avvalorando così la notizia diffusa un mese fa da Mosca, che aveva parlato della probabile uccisione di al Baghdadi, nel corso di un raid aereo. L'Osservatorio siriano per i diritti umani – organismo non certo vicino alle ragioni del Cremlino - ha affermato di avere “informazioni confermate” sull'uccisione del “Califfo”; l'ISIS – a quanto pare – sarebbe prossimo ad annunciare il nome del successore. Ma la prudenza è d'obbligo, anche in considerazione del fatto che di tutto ciò non si trova traccia sui siti normalmente usati dal DAESH. Quel che è certo è che l'ISIS – quantomeno nella sua forma statuale – appare ormai ai minimi termini anche in Siria. Raqqa è da tempo sotto assedio, mentre le Forze Governative, supportate da Hezbollah, e dall'aviazione russa, sono all'offensiva su tutti i fronti, ed ora puntano alla liberazione di Deir ez Zor. Il vero obiettivo ora, secondo vari analisti, è evitare che lo Stato Islamico venga rimpiazzato da un'altra entità, in grado di far leva sul risentimento di quella parte di popolazione sunnita che – specie in Irak - si sente discriminata e senza difesa. L’Onu ha espresso “estrema preoccupazione” per le minacce già ricevute da “centinaia di famiglie” di presunti membri dell’Isis o loro parenti.
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