Mio padre era un minatore. Mio padre era un muratore. Quando arrivavano in Belgio gli emigranti non sapevano di dover scendere in miniera. Molti pensavano di andare a lavorare all'estero come muratori o terrazzieri. Alla fine della seconda guerra mondiale si fa la fame anche a San Marino. L'economia europea stenta a ripartire per la carenza di combustibili. Il Belgio è ricco di miniere ma non di manodopera disposta a scendere nei pozzi. Per reclutare gli uomini necessari il governo belga lancia una grande campagna pubblicitaria e, d'accordo con il governo italiano, contratta l'invio di ingenti quantità di carbone in cambio di manodopera. Dopo 5 anni anche la Repubblica firma un accordo con il Belgio che permetterà ai sammarinesi di andare in miniera, senza essere inseriti nei contingenti italiani. Il mestiere si impara imitando i più anziani. Gli alloggi sono le baracche degli ex campi di concentramento tedeschi destinati ai prigionieri russi o polacchi, costretti a fare i minatori per sostenere lo sforzo bellico della Germania. Il pericolo più grande – la silicosi, causata dalle polveri della miniera sui polmoni ancora non si vede – è la fretta. Le gallerie scavate troppo velocemente e armate con ancor meno cura spesso crollano. Mio padre era fuori turno quando rimasero sepolti in miniera i suoi fratelli e suo babbo. Attese, per ore, che li tirassero fuori. Quello fu un lieto fine. A Marcinelle invece, l'8 agosto del 1956 morirono carbonizzati 262 minatori: 136 erano italiani. Nel giorno delle commemorazioni e del ricordo di una tragedia che non ebbe colpevoli, fanno riflettere le parole di Mattarella. Pensate, dice il capo dello Stato italiano, alle sofferenze dei migranti. Perchè i morti di Marcinelle, oggi, sarebbero chiamati “migranti economici”.
Sonia Tura
Sonia Tura
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