In lingua ebraica Shoah significa desolazione, catastrofe, disastro. E riassume l’orribile spettacolo che si trovarono di fronte i fanti dell’Armata Rossa quando – nel corso della travolgente offensiva in direzione di Berlino – arrivarono nella città polacca di Oswiecim: Auschwitz, in tedesco. Nel campo di concentramento solo pochi superstiti in condizioni pietose; fantasmi, materiale umano ormai inservibile: chi era in grado di lavorare era già stato evacuato. Quel giorno – 27 gennaio 1945 – venne tolto il velo sull’orrore: l’eliminazione sistematica – industriale – di due terzi della popolazione ebraica europea. 6 milioni di persone umiliate, sfruttate fino allo sfinimento e infine gasate e incenerite. Uno sforzo considerevole fu speso dalla macchina di morte nazionalsocialista per trovare metodi sempre più efficienti per uccidere: si passò dall'avvelenamento con monossido di carbonio, all'uso dello Zyklon B. E poi l'orrore degli esperimenti medici sui prigionieri, bambini compresi.
Gianmarco Morosini
Gianmarco Morosini
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