Era forse il momento più atteso del processo. Enea Bruschi, davanti alla Corte d’Assise di Rimini, ha raccontato la sua verità, rispondendo alle domande della difesa, del Pubblico Ministero e della Giuria. Ha ripercorso i fatti di una notte di eccessi - iniziata al bar di Dogana, dove lavorava, con drink e sniffate di cocaina - e conclusasi all’alba con il decesso del brasiliano Ferriera Fonseca, detto “Alessandra”, colpito dalla renault 5 del sammarinese. Una morte non voluta – questa la tesi della difesa – “dopo il primo incidente – ha dichiarato Bruschi - l’automobile non andava bene, il cambio non funzionava e al momento dell’urto fatale stavo guardando in basso”. Lungo e serrato il controinterrogatorio del PM Luca Bertuzzi che ha contestato all’imputato alcune dichiarazioni raccolte all’epoca dei fatti e non corrispondenti a quelle rese in dibattimento. Bruschi, in particolare, non dichiarò mai – se non oggi in udienza – di avere consumato cocaina, quella notte, insieme ad un amico sammarinese: Fiorenzo Gatti. “Non l’avevo detto – si è difeso Bruschi – per non coinvolgerlo in questa brutta storia”. “Ero a andato a casa sua dopo aver finito di lavorare – ha continuato -, abbiamo consumato cocaina insieme, quindi l’ho salutato e son passato in un bar dove ho bevuto diverse birre, infine mi sono recato al Gross”. Proprio Fiorenzo Gatti è stato sentito, subito dopo Bruschi, come testimone della difesa. Alcuni “non ricordo” nella sua deposizione. Gatti ha anche dichiarato che ai tempi dei fatti si incontrava saltuariamente con l’imputato per consumare cocaina. Tra i testi, chiamati a deporre dalla difesa, anche la madre di Enea – Wilma Bologna – e il titolare del bar presso il quale lavorava Bruschi. L’udienza si era aperta con la testimonianza del brasiliano Luis Ripardo – detto “Suelle” – che con la vittima condivideva l’appartamento e la dura vita del marciapiede. Suelle ha parlato – in particolare – delle ultime 3 telefonate ricevute da Alessandra la mattina del 17 ottobre: solo alla prima riuscì a rispondere. Le 2 successive chiamate rimasero impresse nella memoria della segreteria telefonica, e nel secondo messaggio – ha detto Luis Ripardo – si sentiva Alessandra chiedere aiuto con voce disperata e sembrava stesse scappando. Sentiti, in mattinata, anche un amico di Bruschi e un dipendente del locale dove l’imputato si fermò prima di recarsi al Gross. Nonostante un allarme bomba, giunto in Tribunale intorno alle 11, l’udienza è proseguita regolarmente, e si è conclusa con l’esame dei periti sulle modalità dell’incidente.
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