“Non preoccupatevi, non stanno eleggendo un Papa”. Così, un funzionario del consolato di San Francisco, ha risposto a chi – ieri - chiedeva spiegazioni per il fumo nero che fuoriusciva dal comignolo dell'edificio, sospettando si trattasse del tentativo di distruggere documenti riservati. Ironia russa a parte, il clima, in queste ore, è da guerra fredda. La decisione di chiudere entro il 2 settembre il consolato della città californiana - insieme ad altri due uffici a New York e Washington - era stata presa giovedì. “Auspichiamo che l'azione – aveva poi aggiunto l'Amministrazione statunitense - non comporti un peggioramento dei rapporti bilaterali”. Difficile, dopo uno schiaffo simile. Anche perché sarebbe stato ordinato all'Fbi di perquisire gli edifici, oltre alle residenze private dei diplomatici che vi lavorano. Dura, oggi, la reazione di Mosca, che ha definito le ispezioni – in assenza di funzionari russi – una palese violazione dell'immunità diplomatica e ha accusato gli Stati Uniti di poter usare l'occasione “per piazzare materiale compromettente”. “Le autorità statunitensi – è stato poi sottolineato - dovrebbero cessare queste violazioni grossolane del diritto internazionale, altrimenti ci riserveremo il diritto di rispondere in modo reciproco”. Ad innescare tutto ciò, lo scorso anno, la decisione di Obama, appena sconfitto, di espellere 35 diplomatici, ed imporre sanzioni a Mosca, come risposta alle presunte interferenze russe nelle elezioni. La risposta del Cremlino era arrivata a luglio, dopo la rinuncia di Trump a rimuovere le sanzioni, con il taglio di 755 dipendenti delle sedi diplomatiche americane in Russia. A completare il quadro il forfait di Putin all'Assemblea Generale dell'ONU, annunciato oggi dal portavoce Dmitri Peskov, che non ha poi commentato l'iniziativa di Trump di voler organizzare un summit dei leader mondiali alla vigilia dell'assise.
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