Jules Schelvis ha 90 anni. E’ un sopravvissuto dell’Olocausto. Nel campo di concentramento di Sobibor, nell’allora Polonia occupata dai nazisti, ha perso la giovane moglie di 22 anni, 18 familiari, la dignità. Ma non vuole vendetta, solo giustizia. E per lui giustizia significa dichiarare colpevole il presunto boia di Sobibor, John Demjanjuk, ma senza condannarlo. Perché quell’ucraino guardiano del lager, ex prigioniero di guerra accusato di concorso nell'eccidio di quasi 28 mila ebrei, è molto anziano, immobile su una sedia a rotelle, e ha già scontato nove anni di carcere. Oggi Jules Schelvis ha chiesto clemenza durante un'udienza del processo. Già nel 2009 aveva testimoniato per raccontare la sua storia, toccante e tragica, come quella di tanti altri ebrei sopravvissuti come lui all’inferno dei lager. Il mese scorso, il pubblico ministero del tribunale di Monaco di Baviera ha chiesto sei anni di reclusione per Demjanjuk, protagonista dell’ultimo grande processo per crimini nazisti celebrato in Germania.
Monica Fabbri
Monica Fabbri
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