C'è chi vede, nei devastanti attentati dinamitardi di ieri a Damasco ed Homs, un segno di debolezza del sedicente Stato Islamico. Una sorta di crudele risposta ai rovesci che gli jihadisti di Al Baghdadi – ma anche quelli di Al Nusra e le altre formazioni anti-Assad – stanno subendo sul campo di battaglia. Ieri, mentre le esplosioni nelle due città siriane uccidevano quasi 200 persone, ad est di Aleppo veniva completamente annientata dai governativi, appoggiati dall'aviazione russa, una sacca di alcune centinaia di terroristi dell'ISIS. Paradossalmente, proprio mentre il Califfato sembra vicino al punto rottura, si torna a parlare di intervento di terra, da parte della Turchia, preoccupata anche dai successi delle formazioni curde siriane. “Solo gli attacchi aerei contro il Daesh – ha detto il ministro agli esteri Cavusoglu, in un incontro ad Ankara con il suo omologo italiano Gentiloni - non bastano. E' necessario uno sforzo di terra. La Turchia da sola non agirà, ma neanche da sola con l'Arabia Saudita. Ci vuole una decisione tutti insieme”. Gentiloni ha invece ricordato che Roma sostiene una soluzione politica. L'inviato speciale dell'Onu per la Siria Staffan De Mistura, dal canto suo, si dice ottimista su un possibile cessate il fuoco. Nel frattempo il quotidiano turco di opposizione laica Cumhuriyet lancia il suo ultimo scoop sulle presunte infiltrazioni dello Stato islamico alla frontiera turco-siriana, denunciando questa volta un diretto coinvolgimento di membri dell'esercito. “Hanno gestito il confine con un emiro dell'Isis”, titola oggi il giornale.
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