La violenza non è solo fisica, ma anche psicologica ed economica. Finché le donne non avranno accesso al mondo del lavoro con la facilità e la retribuzione degli uomini, la vera parità dei sessi rimarrà un miraggio. Ma è con la parità che si scardina la violenza di genere. Il lavoro è il primo diritto civile, però se il lavoro ce l'ha l'uomo, la donna dipende da lui. Il problema è evidenziato dai dati. Secondo l'Eurostat nella penisola le donne fra i 20 e 64 anni con un'occupazione sono poco più della metà, il 55%. A fronte di una media europea del 69%. Dopo l'Italia solo la Grecia. Il Report 2023 del World Economic Forum sul divario di genere colloca Roma solo al 79esimo posto nella classifica mondiale.
"I parametri su cui viene predisposta questa classifica annuale - spiega Giovanna Cosenza, direttrice del corso di laurea in Comunicazione e Digital Media UNIRSM - sono quattro: la partecipazione alla vita economica e al lavoro, l'educazione, lo stato di salute e l'aspettativa di vita e la rappresentanza politica. Ciò che ci ha tenuti sempre molto indietro è la scarsa partecipazione delle donne italiane alla vita economica".
Rimangono ancorati anche diversi stereotipi sulla violenza di genere, come dimostra un'indagine dell'Istat. Il 39% degli uomini pensa che una donna possa sottrarsi a un rapporto sessuale, se davvero non lo vuole, e quasi il 20% pensa che la violenza sia provocata dal modo di vestire. Certo, serve un lungo e serio percorso di cambiamento culturale, ma ciò che può segnare la svolta, fin da subito, sono leggi mirate che portino a una reale parità. Senza di queste, il World economic forum stima che ci vorranno 131 anni per raggiungere la parità di genere, 169 per la parità economica e 161 per quella politica. Numerose rilevazioni infatti segnalano da anni che ad esempio in azienda, a parità di ruolo, le donne italiane percepiscono stipendi più bassi e fanno meno carriera degli uomini. È il cosiddetto “soffitto di cristallo”. Nelle zone apicali poi solo il 27% dei dirigenti è donna. Ai primi posti di tutte le classiche, ci sono invece i Paesi del Nord Europa.
"Come hanno fatto loro? Hanno introdotto nei primi anni 2000 le cosiddette quote di genere - conclude la Cosenza -, quindi obbligatorie parità di genere nelle varie posizioni apicali e consigli di amministrazione e parità di salari per legge. Detto questo, non ne sento parlare e, anzi, tante donne non vogliono le quote di genere per una resistenza educativa e culturale. Siamo d'accordo, non è bello. Però se non si fa così non si arriva da nessuna parte".
Nel video l'intervista a Giovanna Cosenza, direttrice del corso di laurea in Comunicazione e Digital Media UNIRSM