39 ANNI FA, IL 16 MARZO DEL 1978, veniva rapito a Roma, in via Fani, dalle Brigate Rosse, Aldo Moro, presidente della DC, per essere poi barbaramente ucciso il 9 maggio seguente.
Nell’anno del centenario della sua nascita, il 23 settembre 2016 a Maglie in Puglia, numerosi i convegni e le giornate di studio del suo pensiero politico in tutta Italia e in alcune città europee. Di Moro si è detto e scritto tutto con giudizi di segno opposto. Chi con ironia nel suo pensiero politico molto elaborato ha visto oscurità e nebulosità; chi ha attribuito alla sua eccessiva prudenza il rallentamento dell’evoluzione del paese; e chi invece ancora oggi riconosce in lui il ”maieuta delle democrazia italiana”, il maestro di mediazione come attività immanente alla politica democratica, come confronto –dialogo tra uomini di culture diverse; come incontro tra principi etico-religiosi e saggio gradualismo democratico nelle soluzioni legislative..
Ma, più che altro, Moro fu uomo di governo con forte senso dello Stato quale “regola della convivenza”. Lo aveva già anticipato nel suo famoso discorso alla Costituente quando strappò gli applausi anche di Togliatti nel sentire l’invito a fare della Costituzione ”lo strumento di unione e non di divisioni”. Sempre molto determinato nelle sue pacate e lente decisioni e nei riferimenti netti al lavoro come fondamento della cittadinanza politica; al pluralismo delle formazioni sociali dei corpi intermedi; ad una concezione pluralistica e partecipativa della democrazia sostanziale che prenda corpo in uno Stato sociale attento ai più bisognosi; al valore dell’autonomia della politica e della laicità della Repubblica, intesa come “casa comune” ; ad un forte europeismo come interfaccia dell’universalismo crescente. Indimenticabile il suo appello accorato e anche un po’ angosciato al senso dei doveri che deve accompagnare la stagione dei diritti.
Altri hanno apprezzato in lui la sua visione di partito come soggetto collettivo, quale strumento di partecipazione affidato ai cittadini, con metodo democratico interno. Moro fu uomo di partito, mai solo al comando; semmai eccelleva nella forza mite della ragione e della persuasione. In una parola, l’opposto di una politica dalla “sguardo corto” schiacciata sul presente e sulla conquista di un facile consenso a suon di slogan accattivanti. Un uomo dalla forte “intelligenza degli eventi”, un politico, un professore e un credente coerente.
Forse mai come oggi, nel tempo della retorica e del nuovismo dilagante che rischiano di produrre la precoce rottamazione dei rottamatori, con preoccupanti forme di populismo e di antipolitica, viene da constatare la sensazione in molti che l’attualità di Moro stia esattamente nella sua inattualità, che alcuni una volta criticavano..
Nell’anno del centenario della sua nascita, il 23 settembre 2016 a Maglie in Puglia, numerosi i convegni e le giornate di studio del suo pensiero politico in tutta Italia e in alcune città europee. Di Moro si è detto e scritto tutto con giudizi di segno opposto. Chi con ironia nel suo pensiero politico molto elaborato ha visto oscurità e nebulosità; chi ha attribuito alla sua eccessiva prudenza il rallentamento dell’evoluzione del paese; e chi invece ancora oggi riconosce in lui il ”maieuta delle democrazia italiana”, il maestro di mediazione come attività immanente alla politica democratica, come confronto –dialogo tra uomini di culture diverse; come incontro tra principi etico-religiosi e saggio gradualismo democratico nelle soluzioni legislative..
Ma, più che altro, Moro fu uomo di governo con forte senso dello Stato quale “regola della convivenza”. Lo aveva già anticipato nel suo famoso discorso alla Costituente quando strappò gli applausi anche di Togliatti nel sentire l’invito a fare della Costituzione ”lo strumento di unione e non di divisioni”. Sempre molto determinato nelle sue pacate e lente decisioni e nei riferimenti netti al lavoro come fondamento della cittadinanza politica; al pluralismo delle formazioni sociali dei corpi intermedi; ad una concezione pluralistica e partecipativa della democrazia sostanziale che prenda corpo in uno Stato sociale attento ai più bisognosi; al valore dell’autonomia della politica e della laicità della Repubblica, intesa come “casa comune” ; ad un forte europeismo come interfaccia dell’universalismo crescente. Indimenticabile il suo appello accorato e anche un po’ angosciato al senso dei doveri che deve accompagnare la stagione dei diritti.
Altri hanno apprezzato in lui la sua visione di partito come soggetto collettivo, quale strumento di partecipazione affidato ai cittadini, con metodo democratico interno. Moro fu uomo di partito, mai solo al comando; semmai eccelleva nella forza mite della ragione e della persuasione. In una parola, l’opposto di una politica dalla “sguardo corto” schiacciata sul presente e sulla conquista di un facile consenso a suon di slogan accattivanti. Un uomo dalla forte “intelligenza degli eventi”, un politico, un professore e un credente coerente.
Forse mai come oggi, nel tempo della retorica e del nuovismo dilagante che rischiano di produrre la precoce rottamazione dei rottamatori, con preoccupanti forme di populismo e di antipolitica, viene da constatare la sensazione in molti che l’attualità di Moro stia esattamente nella sua inattualità, che alcuni una volta criticavano..
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