Logo San Marino RTV

"Chiamare le cose con il proprio nome", lettera aperta dell'insegnante di Lettere Michele Ghiotti

15 gen 2022
"Chiamare le cose con il proprio nome", lettera aperta dell'insegnante di Lettere Michele Ghiotti

Credo, come forse anche altri, che sia arrivato il momento di chiamare le cose con il loro nome.
Smettiamola di parlare di “libertà di scelta”. Chiamiamola, invece: rifiuto della scienza e sfiducia nella comunità medica. O incapacità di distinguere i fatti oggettivi da vissuti e fantasie. Chiamiamola soprattutto: individualismo.

Smettiamola di parlare di “discriminazione”. Chiamiamola, invece: opportuna necessità di distinguere le situazioni, di differenziare, di dare a ciascuno il suo. Soprattutto chiamiamola: accettare le conseguenze delle proprie scelte.
Smettiamola di parlare di “parti sociali” e “categorie”. Le categorie, quelle veramente da ascoltare (come, ad esempio, l’associazione dei pazienti oncologici) sono state ignorate. È stato dato invece ampio credito alle altre, a quelle che non sono categorie, ma lobby, bande, consorterie.
Smettiamola di parlare di “concertazione politica”. Chiamiamola, invece: funambolismo per non scontentare chi urla in piazza e sui giornali. Chiamiamola pavidità nelle scelte. Chiamiamola neanche troppo sotterraneo clientelismo. Chiamiamola sottrarsi alle proprie responsabilità di legislatori.
Smettiamola di parlare di “diritti”. È una parola pesante da scomodare e maneggiare per chi spesso è abituato a trattare le cose in modo semplicistico e solitamente solo dal proprio punto di vista. Chiamiamoli, invece: pretese insensate. Chiamiamoli privilegi, esatti con arroganza. Chiamiamoli deliri di presunzione.
Smettiamola di parlare di “sanitari discriminati”, “insegnanti non allineati” e simili. Chiamiamoli: medici e infermieri poco (o per nulla, direbbe qualcuno) responsabili, insegnanti imprudenti (se si fatica a tollerare certi aggettivi, si chieda qualche sinonimo agli alunni o ai colleghi immunodepressi o con familiari fragili a casa), professionisti che chiudono un occhio su alcuni aspetti della loro professionalità (senso etico? valore dell’esempio?), pubblici ufficiali che mettono convinzioni private (magari incompatibili con certi ruoli) davanti alla loro funzione pubblica.
Chiamiamo le cose con il loro nome.
Un governo che introduce Green Pass e Super Green Pass per accedere al ristorante e a teatro, per servire ai tavoli, ma non per lavorare a scuola, in polizia o nei pubblici uffici, magari a contatto con soggetti fragili, è un governo miope. (Sarebbe interessante sapere quali forze politiche e quali Segreterie hanno caldeggiato certe misure e ne hanno impedite altre.)
Un’opposizione che, mentre la maggioranza non vede o chiude gli occhi, fomenta e cavalca le frange no vax nella speranza di raccattare qualche voto, è irresponsabile.
Chiamiamo le cose con il loro nome.
Perché, nonostante tanta confusione, c’è, la si vede chiaramente, una netta distinzione.
Fra chi, con tutti i suoi dubbi e i suoi timori, si affida alla scienza e alla medicina e cerca di rispettare le regole (non sempre inattaccabili, non sempre piacevoli, talvolta molto stressanti) che in una situazione così complessa paiono le più ragionevoli o se non altro le meno assurde. Insomma chi, senza chissà che eroismo, cerca di fare la sua piccola, anche piccolissima parte.
E chi, fieramente, testardamente, per i più disparati motivi (paura, frustrazione, ignoranza, ma anche tornaconto), rema contro. Chi vede ovunque complotti da smascherare e crimini contro l’umanità da denunciare. Chi proprio di doveri e responsabilità non vuol sentir parlare. Chi rifiuta la grammatica di base del vivere civile gridando immediatamente alla dittatura. Chi in nome di una malintesa concezione di libertà si sottrae a ogni minimo dovere e pensa di avere il massimo diritto di fare qualunque cosa voglia senza doverne rispondere. Insomma chi vorrebbe vivere in un mondo dove vale tutto, dove ogni comportamento è indiscriminato, dove non esistono conseguenze, dove nessuno risponde delle proprie scelte e delle proprie azioni.
La pars costruens è per fortuna la maggioranza dei cittadini. Una maggioranza silenziosa (per ora), ma pur sempre una maggioranza. (E in democrazia questo avrà un peso, o no?)
La pars destruens, però, è molto brava a mettere in crisi, demolire, seminare discordia: fa leva sulla paura, sull’individualismo e sul malcontento. E soprattutto fa molto rumore. Ma è la minoranza. Una minoranza – è ora di dirlo chiaramente – pericolosa, antisociale, antidemocratica, che non va ascoltata. Perché sarebbe come dare ascolto a un bambino capriccioso che sragiona, insulta i compagni e lancia oggetti per la stanza.
Di questa distinzione, fra chi tenta di tenere in piedi ciò che resta e chi ha la vocazione per minare e distruggere tutto ciò che non gli aggrada, sarebbe ora che la politica si accorgesse. Anzi era ora. Mesi fa. Ora è tardi, ma – come si dice – meglio tardi che mai. Meglio tardi che quando certe lobby avranno magari formato un partito o un movimento civico e siederanno in Parlamento.
Certo, a essere ottimisti (e forse è il caso di esserlo), magari l’emergenza rientrerà presto, il virus si indebolirà, diventerà endemico e non ci sarà più necessità di misure così stringenti. Ce lo auguriamo tutti. In ogni caso la politica e la cittadinanza avranno perso forse l’ultima occasione per mettere alla prova la responsabilità sociale e collettiva di ognuno e riscoprire il senso profondo di una vera partecipazione alla vita civica.
Vorrei chiudere – deformazione professionale – con alcuni versi di Leopardi. Anche se la poesia non va più tanto di moda, avremmo forse qualcosa da imparare dalla Ginestra: anche oggi, infatti, c’è chi, invece di legarsi all’“umana compagnia”, si chiude nel suo rabbioso egocentrismo, nega la “guerra comune” e si trincera dietro “superbe fole”.

Costei chiama inimica; e incontro a questa congiunta esser pensando, siccome è il vero, ed ordinata in pria l’umana compagnia, tutti fra se confederati estima gli uomini, e tutti abbraccia con vero amor, porgendo valida e pronta ed aspettando aita negli alterni perigli e nelle angosce della guerra comune. […] Così fatti pensieri quando fien, come fur, palesi al volgo, e quell’orror che primo contra l’empia natura strinse i mortali in social catena, fia ricondotto in parte da verace saper, l’onesto e il retto conversar cittadino, e giustizia e pietade, altra radice avranno allor che non superbe fole, ove fondata probità del volgo così star suole in piede quale star può quel ch’ha in error la sede. (G. Leopardi, La Ginestra, 1845)

[Nobile è l’animo di chi] chiama nemica la natura; e pensando che la società umana si sia creata e organizzata sin dall’inizio contro la natura, come è verità, considera tutti gli uomini legati da un patto di alleanza e abbraccia tutti con sincero amore, offrendo ed aspettandosi un aiuto efficace e immediato nei pericoli alterni e nelle angosce della guerra comune. […] Quando, come già furono, saranno noti a tutti questi pensieri e quell’orrore che per primo strinse gli uomini nella catena sociale contro l’empia natura, saranno in parte rinnovati dalla conoscenza della verità i rapporti civili retti e onesti, e la giustizia e la pietà avranno a quel punto ben altro fondamento che favole piene di superbia, fondata sulle quali la lealtà del popolo sta in piedi come può farlo ciò che si basa su un errore.

Michele Ghiotti




Riproduzione riservata ©