La luce in fondo al tunnel c’è, ma la strada per uscire dalla crisi è ancora lunga. Convergono le analisi degli economisti intervenuti ieri (mercoledì 15 aprile) al dibattito pubblico promosso dalla CSU alla casa del Castello di Serravalle.
“Deve essere molto chiaro - ha detto Alberto Berrini, ricercatore dell’Università Bocconi, in apertura della serata – che questa crisi non ha nulla di congiunturale, ma rappresenta una profonda frattura, una traversata nel deserto dove non è possibile tornare indietro”.
Una “frattura” che ha cambiato tutto: “Il Novecento è stato il secolo americano, con gli Usa che detenevano il 70% del Pil mondiale e la supremazia militare; il nuovo secolo è invece multipolare, sulla scena economica ci sono Cina, India e Brasile, con spinte demografiche e novità tecnologiche impensabili nel passato”. Berrini risponde quindi all’interrogativo al centro della serata La luce in fondo al tunnel c’è davvero? “Le stime del Pil mondiale indicano una crescita di poco sopra il 3%, mentre le stime europee sono del 1,5%, percentuali ancora troppo basse per riassorbire un tasso di disoccupazione attorno al 10%, pari a 200 milioni di senza lavoro”. La strada da percorrere è insomma una sola: “Puntare alla crescita con politiche monetarie e fiscali espansive e con una migliore redistribuzione del reddito. Il vecchio modello di sviluppo a trazione finanziaria, che ha prodotto disegualianze e bolle speculative, non funziona più”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Giuseppe Travaglini, economista dell’Università di Urbino: “Il passato non è più riproponibile, va ripensato un nuovo modello di sviluppo con risorse, regole certe e obiettivi di lungo periodo. Questo vale per tutti, ma ancora di più per San Marino che ha segnato una contrazione del Pil pari a 20 punti, un rapporto debito-Pil passato in cinque anni dal 3% al 15% e un tasso di disoccupazione vicino al 10%”.
Travaglini non ha dubbi: “Questo processo va interrotto. San Marino deve decidere dove collocarsi nei futuri scenari del dopo-crisi. Deve definire il suo modello di sviluppo, precisare un piano industriale e i settori economici dove specializzarsi. E per questo va tenuto presente che il tasso di specializzazione e innovazione del settore manifatturiero influenza direttamente lo sviluppo qualitativo del terziario e dei servizi”.
Per entrambi gli economisti la chiave per uscire dal tunnel si chiama “innovazione, ricerca, sviluppo”. Berrini: “La crisi va affrontata a viso aperto, cavalcando le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e combattendo le disegualianze economiche e sociali”. Travaglini: “Redistribuzione della ricchezza, centralità del lavoro, investimenti e innovazione tecnologica sono le traiettorie da seguire”.
“Deve essere molto chiaro - ha detto Alberto Berrini, ricercatore dell’Università Bocconi, in apertura della serata – che questa crisi non ha nulla di congiunturale, ma rappresenta una profonda frattura, una traversata nel deserto dove non è possibile tornare indietro”.
Una “frattura” che ha cambiato tutto: “Il Novecento è stato il secolo americano, con gli Usa che detenevano il 70% del Pil mondiale e la supremazia militare; il nuovo secolo è invece multipolare, sulla scena economica ci sono Cina, India e Brasile, con spinte demografiche e novità tecnologiche impensabili nel passato”. Berrini risponde quindi all’interrogativo al centro della serata La luce in fondo al tunnel c’è davvero? “Le stime del Pil mondiale indicano una crescita di poco sopra il 3%, mentre le stime europee sono del 1,5%, percentuali ancora troppo basse per riassorbire un tasso di disoccupazione attorno al 10%, pari a 200 milioni di senza lavoro”. La strada da percorrere è insomma una sola: “Puntare alla crescita con politiche monetarie e fiscali espansive e con una migliore redistribuzione del reddito. Il vecchio modello di sviluppo a trazione finanziaria, che ha prodotto disegualianze e bolle speculative, non funziona più”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Giuseppe Travaglini, economista dell’Università di Urbino: “Il passato non è più riproponibile, va ripensato un nuovo modello di sviluppo con risorse, regole certe e obiettivi di lungo periodo. Questo vale per tutti, ma ancora di più per San Marino che ha segnato una contrazione del Pil pari a 20 punti, un rapporto debito-Pil passato in cinque anni dal 3% al 15% e un tasso di disoccupazione vicino al 10%”.
Travaglini non ha dubbi: “Questo processo va interrotto. San Marino deve decidere dove collocarsi nei futuri scenari del dopo-crisi. Deve definire il suo modello di sviluppo, precisare un piano industriale e i settori economici dove specializzarsi. E per questo va tenuto presente che il tasso di specializzazione e innovazione del settore manifatturiero influenza direttamente lo sviluppo qualitativo del terziario e dei servizi”.
Per entrambi gli economisti la chiave per uscire dal tunnel si chiama “innovazione, ricerca, sviluppo”. Berrini: “La crisi va affrontata a viso aperto, cavalcando le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e combattendo le disegualianze economiche e sociali”. Travaglini: “Redistribuzione della ricchezza, centralità del lavoro, investimenti e innovazione tecnologica sono le traiettorie da seguire”.
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