A San Marino non si è mai parlato della relazione tra “povertà e disabilità”; le stesse indagini rivolte alle famiglie sammarinesi da parte dell’Ufficio programmazione economica e centro elaborazione dati e statistica, di carattere economico, socio demografico, ad esempio, sullo stile di vita, sui consumi, sull’indebitamento, sui risparmi ecc., tengono conto della composizione numerica della famiglia, dell’età, del genere, della residenza, dello stato coniugale, ecc., ma in nessun caso di una eventuale condizione di disabilità, quando è acclarato oramai su scala planetaria come la disabilità sia uno dei primi elementi di impoverimento delle persone e delle famiglie. Ci sono fior di Rapporti, infatti, presentati negli organismi internazionali, anche in ottica Agenda 2030, che spiegano come la presenza di una persona con grave e gravissima disabilità sia una delle principali cause di emarginazione e impoverimento del nucleo familiare. Il sovraccarico assistenziale in capo alla famiglia, le ripercussioni negative legate al lavoro dei familiari fino al doversi ritrovare costretti all’abbandono dell’occupazione, i costi sociosanitari, le difficoltà nel sostenere le spese per beni legati all’autonomia, sono solo alcuni dei fattori fortemente “limitanti” rispetto agli altri nuclei famigliari della popolazione. Il fattore “disabilità” va ricompreso nelle prossime ricostruzioni statistiche e censimenti della popolazione sammarinese. Oltre alle statistiche poi, servono i dati: ad oggi, non sappiamo nemmeno quante persone con disabilità vivano sul nostro territorio, che tipologia di disabilità abbiano e, soprattutto, il loro grado di gravità. A tal riguardo, dal 2001 è disponibile e raccomandato l’ICF, un classificatore riconosciuto internazionalmente in funzione della cosiddetta “visione sociale della disabilità”, il modello, cioè, elaborato all’interno della Convenzione ONU affinché siano effettivamente tutelati e garantiti i Diritti delle persone con disabilità. Negli Uffici e dagli organismi competenti del nostro Stato, purtroppo, stenta ancora ad essere utilizzato diffusamente e pare, addirittura, che l’utilizzo dell’ICF non lo si voglia prevedere nemmeno nel nella riforma della CASI, la Commissione per gli Accertamenti Sanitari Individuali regolamentata da una legge del 1988. Se così fosse, la ritengo una cosa inaccettabile; viene da chiedersi che senso abbia avuto parlarne nel Tavolo interdisciplinare, fare Formazione, Convegni, ecc., se poi nemmeno quella Commissione lo adotterà. Le famiglie in cui ci sono persone con gravi livelli di disabilità, in contesti di forte crisi economica - come quello che stiamo vivendo - sono particolarmente esposte e una buona politica contro l’esclusione, dovrebbe saper combinare questi dati mettendoli in correlazione con altri eventuali elementi di discriminazione. Altrimenti, in assenza di questo tipo di analisi, è molto forte il rischio di decisioni, politiche e non solo, inadeguate. E’ altrettanto indispensabile – per non dir dovuto – sapere altresì l’ammontare delle risorse che lo Stato spende per loro, suddiviso per tipologia di servizi e sostegni erogati, in modo che si possa fare una corretta analisi e valutare le decisioni politiche ed amministrative conseguenti che si reputano più opportune. Non sappiamo nemmeno questo. L’insussistenza di dati e statistiche, le attese bibliche per l’affermazione di taluni Diritti, i solchi sempre più profondi tra discriminazioni e risposte necessarie, le barriere (materiali e immateriali) consolidate e in aumento grazie ad una burocrazia dilagante…queste sono, genericamente parlando, solo alcune delle questioni che andrebbero affrontate con una certa urgenza, ma evidentemente, non tutti, nemmeno nel Governo, sono di questo avviso. In modo provocatorio, in un precedente comunicato avevo chiesto al Governo se intendesse garantire tali Diritti alle persone con disabilità o corroderne le loro tutele, dato che di fronte al quadro estremamente riassuntivo che ho appena citato, ha ritenuto che fosse fondamentale stabilire e inserire una soglia ICEE all’interno di un Decreto, quello sull’estensione del Congedo Parentale lungo, dove non se ne ravvisava nemmeno l’esigenza visto che era rivolto ad una sola situazione famigliare, un caso di gravissima disabilità, purtroppo, dolorosamente noto. La questione non è banale perché d’ora in avanti, gran parte delle prestazioni sociali legate alla disabilità, saranno condizionate alla presentazione dell’ICEE (Indicatore della Condizione Economica Equivalente), per cui quando c’è di mezzo la disabilità, specie quelle gravi e gravissime bisogna stare molto attenti prima di poter dire di avere piena contezza del loro bisogno, perché in assenza di altri dati e indicatori specialistici, gli elementi con cui si va a determinare la soglia, potrebbero essere lacunosi, indistinti e quindi si rischia di andare a creare ulteriori difficoltà. Se da un lato è assolutamente condivisibile e opportuno che la politica discuta in via prioritaria le questioni cruciali per il Paese, dall’altro è inaccettabile la perdurante indifferenza di fronte ad alcune situazioni, semplicemente perché il Tema della disabilità è una questione di Diritti Umani e su questo sono convenute, da oltre undici anni, la politica e le Istituzioni di questo Paese ratificando la pertinente Convenzione. Sulla questione della Vita Indipendente, ad esempio, il tavolo per l’elaborazione di un Progetto, peraltro sperimentale, che preveda la figura dell’Assistente Personale è ripartito solo poche settimane fa e solo dopo numerosi richiami. Vita Indipendente è il Diritto per le persone con disabilità di vivere nella società con la stessa libertà di scelta delle altre persone che, mentre da noi è ancora un tabù, è ritenuto l’elemento più significativo e su cui fa perno il nuovo paradigma che la Convenzione ONU promuove, perché parlare di “libertà” in senso generale o riferendosi al rispetto della dignità delle persone con disabilità, non ha alcun senso se non si fa in modo di associare quel termine, la libertà appunto, alla capacità e possibilità di scegliere e decidere del soggetto. Ci sono poi le problematiche contingenti oramai cristallizzate nel tempo: il tema del vuoto dopo l’età scolare, quello del Dopo di Noi, quello dell’abbattimento delle barriere architettoniche e delle barriere alla comunicazione, quello del Lavoro, quello del Prontuario Nomenclatore e tanto altro. Un’altra cosa che sarebbe bene precisare, dato che si tende sempre a propendere per le ragioni e gli interessi del “più forte” è che la Convenzione delle Nazioni Unite per la tutela dei Diritti delle Persone con Disabilità, non è che tratta i Diritti di chi “si occupa di loro”, degli operatori dei Servizi (pubblici e privati), né delle Associazioni o le Cooperative…e mi spingo ancora oltre, non tratta neanche i Diritti delle loro famiglie! La Convenzione non ne parla. Questo lo dico perché quando si sente il refrain del voler mettere anche su queste tematiche "la famiglia al centro”, in alcuni casi si rischia di entrare in netto contrasto con quanto la Convenzione dispone, ad esempio, quando si affrontano questioni legate al Diritto all’autodeterminazione. La Convenzione ONU sui diritti delle persone con Disabilità, tratta i Diritti della Persona con Disabilità. Allo stato attuale se una persona con grave disabilità non autosufficiente volesse impegnarsi nella vita pubblica e politica, continuare gli studi per ricoprire incarichi professionali di livello e nel settore pubblico o in quello privato, oppure trovare semplicemente un’occupazione, non può farlo perché in molti casi manca l’idoneo supporto. In assenza di politiche sull’inclusione costruite con investimenti economici basati su dati e analisi di qualità che possano fornire idonei strumenti tecnologici o interpretativi necessari per l’abbattimento delle barriere alla comunicazione o meramente assistenziali come la figura dell’Assistente Personale, non sarà mai in grado perché tutti elementi oggi non esistono. Serve assolutamente una riflessione complessiva, un ragionamento d’insieme sullo stato dell’arte, per evidenziare in modo chiaro e responsabile quelle che sono oltre alle ragioni economiche, quelle politiche, sociali e culturali che rendono ancora precarie certe tutele e labili il riconoscimento e l’affermazione di taluni Diritti.
c.s. Mirko Tomassoni