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Don Gabriele Mangiarotti: "Non ci si «ricrea» con ciò che reca danni irreversibili"

9 gen 2020
Don Gabriele Mangiarotti: "Non ci si «ricrea» con ciò che reca danni irreversibili"

Ogni tanto, per non perdere l’abitudine di paragonarci con l’estero, questa strana moda esterofila che spesso porta solo più danni che benefici, si torna a parlare di «cannabis» qui in Repubblica. E se spesso se ne ricercano le possibili ricadute positive come medicinale, il più delle volte sembra che l’aspetto «ricreativo» prenda il sopravvento, pur sempre senza volere andare a fondo della questione. E tralasciando gli aspetti che renderebbero sospettosi coloro che se ne fanno paladini. Ho cercato così di trovare in rete qualche informazione, soprattutto fornita da chi, per «mestiere», poi si trova a dovere gestire gli esiti di un uso «ricreativo» piuttosto che sanitario. Ed ecco che cosa ci fa sapere il sito di San Patrignano, non certo sospetto di paranoie moralistiche o clericali: «Complicazioni e pericoli. Recenti studi hanno dimostrato come la Cannabis non sia pressoché innocua come precedentemente creduto. Dipendenza psicologica. L’abuso di cannabis conduce ad una dipendenza psicologica accompagnata dal rischio di un “cambio” di personalità, di perdita di contatto con la realtà e di auto negazione. Danni fisici e mentali. Diversi studi americani ed europei hanno mostrato vari pericoli: danno cromosomico, disturbo del bilancio ormonale (possibilità di impotenza, sterilità temporanea e sviluppo di seno nell’uomo) e del metabolismo ormonale, danni ai polmoni e alle vie respiratorie. Infine, c’è la possibilità di danni cerebrali a lungo termine in quanto tracce di THC rimangono a lungo in quest’organo.» Niente male per chi vuole «ricrearsi», purtroppo cambiando i propri connotati, da sano a danneggiato. Forse allora una società che abbia come proprio scopo il rendere possibile il bene comune dei propri cittadini dovrebbe vigilare sulla possibile liberalizzazione di tali sostanze, e questo senza poi incorrere nei soliti slogan secondo cui ciascuno è libero di fare quello che gli pare. La società ha bisogno di regole, e l’attenzione in particolare ai soggetti più deboli è dovere di giustizia. Così sarebbe interessante riflettere sul tipo di società e di convivenza desideriamo per la nostra vita civile. E soprattutto ragionare sul senso delle leggi che si vogliono introdurre nel nostro ordinamento, perché, se è vero che non tutto va regolamentato, è peraltro pur vero che una convivenza che si vuole ordinata e civile deve darsi dei criteri e delle norme. Soprattutto riconoscendo quelli che sono principi irrinunciabili nel nostro ordinamento, quelli che La Pira chiamava le linee di architettura di uno stato democratico. Ed è per questo che non ci sentiamo in sintonia né con la proposta di liberalizzazione della cannabis né di quella che è chiamata la «libertà di voto». Credo che certe questioni abbiano bisogno di una decisa presa di posizione, che a volte vuole dire il rifiuto chiaro e netto di ogni compromesso. La difesa della vita, in ogni situazione, non può essere un «optional» per nessun cittadino, tanto meno per un politico.

c.s. don Gabriele Mangiarotti


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