C’è gente addossata al parapetto di un ponte. Guarda l’esplosione della centrale nucleare, senza avvedersi che sta già respirando le polveri radioattive. Così inizia la serie televisiva “Chernobyl”. Pressappoco quello che è accaduto a molti di noi all’inizio della pandemia. Ci fu sorpresa e spettacolarizzazione: il primo lockdown una vacanza anticipata, le zone rosse luoghi di sofferenza vicaria... Poi si è fatta più vicina ed inquietante la percezione reale della situazione carica di dolore, distacchi, solitudini e pressata da preoccupate domande di fronte ad un nemico invisibile – adesso vicinissimo –, all’incrinarsi del mito del “tutto sotto controllo” e al paradosso di un distanziamento opportuno per salvare i legami sociali. Ora siamo ad una sorta di “collaudo strutturale” delle nostre comunità. Ci sono pilastri a rischio, crepe da ricucire, bulloni da stringere. Fuori di metafora: urgenza della solidarietà, responsabilità all’autocontrollo, necessità di attenuare le tensioni sociali. Intelligenza, cuore, mani giunte. Ecco le risorse a disposizione: ricerca scientifica e razionalità organizzativa; affetti famigliari, professionalità e volontariato; preghiera che infonde speranza, che rende umili di fronte alla fragilità e fa vivere l’interconnessione come fraternità. “Salvare il Natale”: appello ricorrente sulla stampa e sui social. Espressione – a dire il vero – non senza ambiguità. “Salvare il Natale”: comprensibile preoccupazione per questi giorni di crisi commerciale ed economica; nostalgico desiderio di buoni sentimenti e di riti famigliari; opportuna enfasi sulla maternità in tempo di culle vuote. Ma il senso del Natale va cercato ad altre profondità: un Dio si fa uomo, viene in questo mondo per... restarci. Originalità ed audacia del cristianesimo! È il Natale che salva noi. Ai cristiani, come ai pastori di Betlemme, è dato di saperlo e, come agli angeli, di cantarlo. Buon Natale!
+ Andrea Turazzi