Nella precedente “perla” sugli emendamenti abbiamo illustrato le nostre proposte per garantire che la scelta della donna sia libera, informata e consapevole. Vi sono però dei casi, seppur eccezionali, in cui questa scelta deve essere anche assistita, e ci riferiamo ai casi di donne minorenni o interdette. Se è vero che per autorizzare l’uscita da scuola anticipata di un’ora di una figlia minorenne occorre la firma di un genitore, e per alcune liberatorie occorre addirittura quella di entrambi, è inaccettabile, oltreché incomprensibile, che per una scelta così radicale ed irreversibile quale un aborto, la richiesta espressa da una minore (o da una interdetta) sia ritenuta valida anche senza il “consenso di coloro che esercitano sulla stessa la potestà o la tutela”. Il tema è sicuramente complesso e delicato e noi abbiamo proposto che vi sia dedicato un intero articolo (il quinto), così da introdurre, insieme al principio dettato dal nostro diritto di famiglia, anche due contemperamenti:
a) qualora i genitori/tutori rifiutino il consenso, il medico può comunque eseguire l’IVG su autorizzazione concessa dal Giudice Tutelare, il quale emette provvedimento inappellabile ma solo dopo aver ascoltato anche le ragioni di genitori/tutori;
b) qualora vi siano gravi e documentati motivi, verificati dal Servizio Minori, che impediscano o sconsiglino la consultazione di uno o più genitori/tutori, il Giudice Tutelare può emettere il provvedimento di cui sopra anche sulla base della sola richiesta della donna, suffragata dalla relazione del medico ginecologo.
Oltre a genitori/tutori vi è un’altra figura fondamentale, completamente dimenticata dal progetto di legge, che è quella del padre del nascituro. Sia ben chiaro, noi avremmo di gran lunga preferito che lo stesso fosse chiamato a prestare il suo consenso, visto che i figli si fanno in due, donna e uomo; ma poiché – come abbiamo precisato dall’inizio – i nostri emendamenti devono risultare compatibili con l’esito referendario, è la donna ad avere la parola finale sulla sorte del bimbo che porta in grembo. Ma riteniamo doverosa nei confronti del padre del nascituro almeno una preventiva informazione, considerato che, come è vero che la donna non è un “contenitore” (come strumentalmente inneggiato da certa propaganda femminista) è altrettanto vero che l’uomo non può essere ridotto ad un mero “inseminatore”, completamente estraneo a quella gravidanza pur essendo anche suo quel figlio che la donna porta in grembo. Certo, esistono anche qui dei casi (e li abbiamo previsti) in cui la donna può chiedere al medico di non convocare il padre, benché ad essa noto, quali quelli in cui l’abbia denunciato per stupro o incesto, o nei casi in cui sia notoriamente uomo violento, dedito all’alcool o tossicodipendente. L’informativa preventiva al padre non è solo una tutela, pur minima, dei suoi fondamentali diritti genitoriali ma è anche un tentativo di chiamarlo alle proprie responsabilità verso quella donna e verso quel bambino, tentativo che, quando riuscito, potrebbe anche indurre la donna a riconsiderare la sua scelta, evitando che sia guidata solo dallo stato di solitudine e abbandono che percepisce intorno a sé. Ecco che quindi tutti i protagonisti (la donna, il figlio e il padre) vengono messi al centro, tutelati e nessuno di loro abbandonato.
Con lo stesso fine di non lasciare le donne sole, abbiamo proposto di inserire un ultimo comma, a chiusura dell’articolo 1 sui principi della legge, che impegna lo Stato, l’ISS e gli enti solidaristici in via sussidiaria (cd. terzo settore) a fornire ogni più idonea misura di supporto alla donna, affinché la scelta di abortire non sia indotta semplicemente da difficoltà socio-economiche od occupazionali e risulti così effettivamente, come da tutti professato anche in campagna referendaria, l’extrema ratio.
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Comunicato stampa
Uno di Noi