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Una riflessione sul fallimento della piazza finanziaria

1 ago 2016
Una riflessione sul fallimento della piazza finanziaria
Un amico ci ha scritto: “noi poveri cittadini non siamo neppure sfiorati dall’attenzione degli attori della politica in momenti che sembrano legati ad affari e speculazioni come non mai”. Questa nota preoccupata e risentita ci ha fatto molto pensare. Se è vero - com’è vero - che neppure la crisi di governo è riuscita a provocare nel Paese un sussulto d’attenzione, allora significa che la sfiducia nella politica è massima. Il Paese sa, o quantomeno avverte, che le istituzioni democratiche sono sottomesse a poteri «altri», certuni conosciuti nei nomi e nei cognomi, certuni solo ipotizzati. Rassegnazione, insofferenza e disinteresse sono i sentimenti che ne scaturiscono.

Con questo nostro articolo vorremmo provare a spiegare - almeno in parte - che cosa si nasconde dietro alle sceneggiature scritte a tavolino, alle schermaglie da quattro soldi, ai finti scandali; qual è la mano che muove la politica, come e perché la muove.

PER UN MILIARDO DI EURO
L’economia sammarinese a fine anni Novanta ragionava in miliardi di lire. Con l’arrivo della piazza finanziaria s’è messa a delirare in miliardi di euro. Nel rapido volgere di pochi anni una società paritaria e coesa, poggiata su un welfare state forte, si è trasformata in una società dalle enormi differenze interne, disgregata, mefistofelica. Poi, nel 2008, nonostante i numerosi avvertimenti internazionali, lo sciagurato sogno di ricchezza si è schiantato contro le direttive di contrasto alle giurisdizioni offshore.

Da allora, tutto quanto di rilevante accade in politica, non è altro che il riflesso di ciò che accade nella fallita e decaduta piazza finanziaria. Tutti i soggetti coinvolti in questa storia falsificata agiscono per conservare il proprio patrimonio e per sfuggire alle responsabilità civili e penali. È un blocco di ricatti e interessi che ha un solo ed unico obiettivo: far passare del tempo così che i reati siano prescritti; trovare qualcuno cui vendere il dissesto, oppure fare in modo che sia lo Stato a prenderselo in carico sotto forma di «debito pubblico». La cifra è enorme, si aggira intorno al MILIARDO o forse più: oltre 30mila euro per ogni Sammarinese (compresi vecchi, donne e bambini). Ciò che si prospetta è il dissolvimento della nostra più grande conquista: l’ISS. Non a caso in queste settimane il Segretario di Stato, Iro Belluzzi, ha parlato di assicurazioni sanitarie.

I politici, i banchieri e i dirigenti coinvolti, e più in generale gli uomini di indole oligarchica - dicevamo - sono intenzionati a vendere il dissesto creato dalla piazza finanziaria. Ma a chi? Al Fondo Monetario? All’Italia? Alla finanza islamica? Una cosa è certa: chi si compra il dissesto si compra anche il Paese.

PURCHÈ NELLA TRASPARENZA
Se i Sammarinesi vogliono continuare a “non dipendere da nessuno” - così come il loro Santo gli ha insegnato - debbono trovare da sé la soluzione al grave problema. La tecnica finanziaria ne offre più d’una, ma occorre partire da un dato di realtà: San Marino è malato di corruzione. Pertanto, anche l’intervento che sulla carta si delineasse come il più corretto potrebbe deviare verso storture e creare ulteriori perdite.

Ecco perché, a nostro parere, ogni Sammarinese che abbia in cuore la giustizia e la dignità sociale dovrebbe chiedere a gran voce una commissione cittadina per l’audit sulle sofferenze bancarie, prima che queste si riversino sulle casse dello Stato; chiedere una verifica aperta, trasparente e pubblica, i cui risultati porterebbero ad azioni concrete in tutti i campi: popolare, parlamentare, giudiziario e dunque alla messa in opera di politiche alternative.

È TUTTO PERDUTO?
Non ci si illuda. I danni saranno ingenti. Ma checché ne dicano gli spargitori di passioni tristi, San Marino può uscire da questa difficile situazione. Essere un piccolo Stato in mezzo ad un blocco continentale standardizzato è un vantaggio enorme. I modi in cui mettere a frutto la sovranità senza svilirla e senza produrre impatti negativi sul modello socio-economico preesistente (come accade per il polo del lusso) sono molteplici.

Un esempio? L’Italia ha chiuso con un ex aequo la partita per l’ingresso nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In ballo ci sono interessi per miliardari e miliardi di euro, soprattutto sulla gestione del futuro libico. Il premier Renzi e il ministro Gentiloni hanno condotto un’intensa campagna per centrare il risultato. San Marino è membro dell’Assemblea Generale della Nazioni Unite dal 1992, e lì esprime il proprio voto al pari delle grandi nazioni, secondo la regola “un paese un voto”. Dunque, il sostegno di San Marino alla candidatura italiana è stato DECISIVO. Ebbene, che cosa ne ha ricevuto in cambio? L’umiliante indagine Torre d’avorio? Risulta evidente che nella politica estera sammarinese, da molto tempo, c’è qualcosa che non va.

Sarebbe stata quella una buona occasione per strappare qualcosa ai nostri vicini, anche la più banale, come la rinegoziazione dell’accordo sui prodotti petroliferi, il quale, di per sé, potrebbe garantire il mantenimento dello stato sociale. Il do ut des fra Stati non è argomento da colonne di giornale - ce ne rendiamo conto - ma preferiamo contravvenire alle regole della diplomazia, piuttosto che assistere silenti alla rovina della Repubblica.

Luca Lazzari e Massimo Valentini per Movimento Democratico - San Marino Insieme

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