Parecchie e per buona parte prevedibili sono state le prese di posizione dopo la nostra presentazione quale Comitato UNO DI NOI Contrario al referendum sull’interruzione volontaria di gravidanza. Riteniamo dunque importante precisare quanto segue. Innanzitutto proprio non riusciamo a capire come si possa sostenere che la depenalizzazione dell’aborto sia l’unica strada per favorire la protezione dei diritti delle donne. Numerosi provvedimenti, anche di maggior tutela penale, sono stati adottati negli ultimi anni. Sono inoltre già depositati in Consiglio Grande e Generale progetti di legge di sostegno alla donna ed alle famiglie nella scelta di avere dei figli, che ci auguriamo vengano approvati quanto prima. Ed auspichiamo che normative efficaci introdotte in Germania ed in Francia per garantire a tutte le famiglie di crescere un figlio aiutandole economicamente e non solo possano rappresentare un buon esempio, che il nostro legislatore segua sollecitamente. Così come ci pare di poter dire che la contraccezione nel nostro paese non sia più un problema. Ciò che ci lascia molto perplessi è dover constatare che nel dibattito generale i diritti del nascituro sembrano essere per molti di nessuna importanza: contano solo i diritti dei già nati. L’anello più debole della catena non interessa, non ha diritti né tutele. Conta e diventa prezioso solo se è la mamma che lo desidera. Non interessa se i progressi scientifici oggi dimostrano che il nascituro è da subito un essere distinto dalla mamma, che a sei settimane si vede il suo cuore pulsare e che a 23 settimane ha il 50% delle possibilità di sopravvivere. Conta solo il cosiddetto diritto “all’autodeterminazione” della donna. Inteso come il diritto di sopprimere la nuova vita che porta in grembo. Si afferma che siccome le donne abortiscono, l’aborto non deve essere punito. Nel mondo si commettono furti, omicidi e tantissimi altri gravi reati. Per nessuno di questi reati sentiamo chiedere la depenalizzazione, se non per l’aborto. Dimenticando che i paesi che lo puniscono lo fanno perché riconoscono il diritto di ogni essere umano alla vita e lo tutelano dall’inizio alla fine. Anche il nostro paese ha fatto questa scelta e ne siamo fieri. A San Marino dunque gli aborti non si praticano, né legali né clandestini. Se poi le donne vanno ad abortire all’estero, è una loro scelta personale. Ma perché solo in caso dell’aborto si parla di “ipocrisia” dell’ordinamento? Anche in caso di omicidio di Sammarinese all’estero o di tantissimi altri reati commessi all’estero ai danni di Sammarinesi residenti in Repubblica il giudice sammarinese non è competente all’esame del caso né si applica il codice penale sammarinese. Evidentemente l’ipocrisia (che non c’è) viene tirata in ballo solo quando fa comodo. Venendo al quesito referendario, di fatto sarà possibile per la donna abortire fino al giorno del parto naturale (nono mese), perché nelle “anomalie del feto” - non essendo un termine scientifico - ci rientra tanto e nel “grave rischio per la salute fisica e psicologica della donna” ci si può far rientrare quasi tutto, considerato che la salute, per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, corrisponde al “pieno benessere fisico e psichico”. Egualmente, tutti i nascituri affetti dalla sindrome di Down o da altre sindromi potranno essere oggetto di aborto fino al giorno del parto naturale, dunque fino al nono mese di gravidanza. A San Marino peraltro in caso di pericolo di vita la donna può già abortire. Tanto è vero che nessuno ricorda casi verificatisi negli ultimi decenni in cui si sia scelto di far morire la donna per salvare il bimbo. Nessuno li ricorda perché non ci sono stati. Ma si fa finta che così non sia, perché evidentemente affermare che l’aborto non è consentito neppure se la donna è in pericolo di vita serve a raccogliere consensi. Inoltre, nel progetto di legge presentato nel 2019, da chi nel 2021 ha proposto il quesito referendario in materia di interruzione volontaria della gravidanza, non solo si parla di responsabilità dell’uomo e della donna e poi il padre scompare da qualsiasi possibilità di dire la sua nella decisione della donna di abortire; non solo mentre si disciplina nel dettaglio tutto ciò che avviene in caso di interruzione volontaria della gravidanza, non si entra assolutamente nel dettaglio delle misure in grado di aiutare sul serio la donna ad affrontare la gravidanza ed a tenere il bimbo; non solo non compaiono le cautele presenti nelle leggi di altri paesi che prevedono una serie di soluzioni diverse atte a prevenire l’aborto, che è sempre un trauma per una donna, giovanissima, giovane o meno giovane; non solo, sempre diversamente da ciò che avviene negli altri ordinamenti, si lasciano le minorenni a decidere da sole, senza l’intervento né dei genitori, né di un tutore, né del giudice tutelare, a meno che abbiano meno di 16 anni e sempre che non si tratti di gravidanza facente seguito a stupro o incesto (nel qual caso si sceglie di lasciarle sole a decidere quando più che mai avrebbero bisogno di adulti accanto a loro in grado di aiutarle e sostenerle); ma addirittura si preconizza un paese rigorosamente abortista, ove, dal momento dell’entrata in vigore della legge in materia di interruzione volontaria di gravidanza l’Istituto per la Sicurezza Sociale dovrebbe assumere solo personale non obiettore di coscienza da destinare ai reparti di ostetricia-ginecologia o di anestesia. Diversamente da ciò che avviene in tutti gli altri paesi occidentali ed in spregio della libertà di coscienza, tutelata dall’art. 6 della Dichiarazione dei Diritti. Il che significa che i nostri giovani, anche se bravissimi medici o sanitari, se non abortisti dovranno scegliere la strada dell’emigrazione perché l’ISS non li assumerà. Noi crediamo in un paese diverso, dove ci sia posto per tutti, anche per i più vulnerabili. Siamo certi che la nostra migliore tradizione, rappresentata da un forte impegno pubblico, da tante associazioni di volontariato e da una proficua sinergia tra pubblico e associazionismo nella tutela dei soggetti più fragili - che fa di San Marino un esempio a livello mondiale - possa e debba continuare ad essere il nostro faro. E siamo convinti che la libertà e i diritti di ognuno di noi debbano tener conto dei diritti degli altri componenti della comunità, anche di coloro che non hanno la possibilità di tutelarli da soli. Infine, auspichiamo che la campagna referendaria e questo periodo che la precede vedano il riconoscimento della possibilità per tutti di esprimere la propria opinione, senza anatemi di alcun genere, con educazione e rispetto. La libertà di manifestazione del pensiero è e deve restare uno dei valori fondamentali del nostro paese, come avviene in ogni sistema democratico, dove ognuno avrà poi la possibilità di esprimere il suo voto nel segreto dell’urna.
Comitato UNO DI NOI