“Questo caso è destinato a rimanere nella storia della giurisprudenza di San Marino”. Lo ha dichiarato l'avvocato di Achille Lia, chiedendo si riapra completamente il processo, che – in primo grado – si era concluso con la condanna ad un anno di reclusione per mancato furto aggravato. Come è noto l'espiazione della pena venne interrotta dalla clamorosa fuga dai Cappuccini. Seguirono l'arresto a Forlì e la richiesta di estradizione. Nel novembre scorso, però, il Giudice per i Rimedi Straordinari accolse il ricorso della Difesa, revocando il mandato d'arresto, e rimettendo il 50enne nei termini per proporre appello. Da qui l'udienza odierna, alla quale Lia – come prevedibile – non ha partecipato, per non correre il rischio di essere ammanettato non appena oltrepassato il confine. Il Procuratore del Fisco ha sottolineato come non vi sia alcuna necessità di rinnovare l'intero procedimento, non essendovi dubbi sul merito. Non di questo avviso il legale del calabrese, che ha poi ribadito come non siano state rispettate le previsioni CEDU per i processi in contumacia. Il Giudice Caprioli si è comunque riservato di decidere sull'istanza di rinnovazione dibattimentale. Praticamente scontata, se si dovesse ripartire daccapo, la prescrizione. Previsto entro 3 mesi, invece, il deposito della sentenza d'appello nel procedimento contro Piergiorgio Baita – ex AD della Mantovani Costruttori -, Claudia Minutillo, e l'ex console William Colombelli, presente oggi in aula. L'inchiesta – relativa alla costituzione tramite false fatture di fondi neri, per il pagamento di tangenti legate alla realizzazione del Mose - si concluse in primo grado con una condanna – per tutti - a 2 anni e 6 mesi di prigionia, per associazione a delinquere. Ma per questa vicenda – la cosiddetta “Tangentopoli veneta” - gli imputati avevano già patteggiato in Italia; per cui, anche questa volta, i difensori hanno chiesto il riconoscimento del “ne bis in idem” internazionale. Ma non solo; ad avviso dei legali degli imputati il reato sarebbe già prescritto, mentre la Procura del Fisco ha indicato – come data – il 21 maggio del 2019, opponendosi – perché giudicata “irrilevante” - all'escussione di una testimonianza. Tra i procedimenti all'attenzione del Giudice d'Appello anche quello contro il riminese Luca Costanzi e la madre. Nel 2017 vennero condannati rispettivamente a 2 anni e 6 mesi, e 2 anni, per truffa ai danni dello Stato, ed emissione ed utilizzo di fatture false. Per commettere questi reati si sarebbero serviti di una società con sede in Piazza Enriquez a Dogana, presso la quale – stando a quanto scritto sui libri contabili – risultavano depositate 3.700 tonnellate di sabbia. La donna, fino ad un certo periodo, risultò amministratrice unica. “Ma non sapeva neppure cosa fosse una fattura”, ha sottolineato oggi il difensore; chiedendo, per lei, l'assoluzione. Stessa cosa per il figlio, quanto al primo capo di imputazione; mentre per il secondo l'avvocato ha richiesto una riduzione della pena.
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