Il caso ebbe ampia eco mediatica nel 2019, coinvolgendo anche San Marino. Protagonista Armando Siri, già senatore della Lega, che ottenne – queste le ipotesi all'epoca – due mutui dalla BAC definiti “sospetti”. Oggi a San Marino l'avvio del processo legato a quelle questioni. Sul banco degli imputati l'ex dg dell'istituto, Marco Perotti, l'ex vice direttore generale Tiberio Serafini e Flavia Astolfi come responsabile "corporate identity" di Bac.
Per Perotti e Serafini l'accusa di amministrazione infedele in merito all'erogazione di credito in favore di Siri senza adeguate garanzie. Un mutuo da 750mila euro poi utilizzato per acquisto e ristrutturazione di un immobile intestato alla figlia del politico. Pagamenti regolari, specificano oggi i ben informati, con l'aggiunta di nuove garanzie. Erogati poi altri 600mila euro, ma in favore della Tf Holding, società che sarebbe stata presentata dal capo della segreteria di Siri. Somma poi ridimensionata in base alle richieste dell'impresa.
Per Serafini e Astolfi, invece, l'accusa di ostacolo alle funzioni di vigilanza perché, tra le altre cose, avrebbero, in sostanza, agito per forzare delle procedure e mettere chi aveva chiesto il credito in relazione diretta con la direzione. Bac e Bcsm si sono costituite parte civile, anche per i danni di immagine rispettivamente come istituto e come sistema finanziario. Per Bcsm accettata la sola richiesta per il capo d'imputazione relativo alla vigilanza.
Accolto dal giudice Simon Luca Morsiani il patteggiamento per l'ex Direttore della banca, con l'applicazione della multa di 900 euro e la non menzione nel casellario giudiziale. Tra le diverse richieste della difesa di Flavia Astolfi quella di dichiarare la nullità del rinvio a giudizio perché all'epoca il fatto non era previsto come reato in relazione alla sua qualifica e perché le regole in questione sono state poi abrogate. Il dibattimento è alle fasi iniziali.
Nuova udienza il 21 giugno quando si tornerà in Aula anche per un altro procedimento che vede, tra gli imputati, Michele Santonastaso, accusato insieme ad altri di aver riciclato in Repubblica quasi 1 milione e 800mila euro, secondo gli inquirenti provento di attività del clan dei Casalesi. Ricostruzione già contestata dallo stesso Santonastaso che parlò di somme ricavate dall'attività come avvocato e che oggi ha chiesto siano sentiti dei collaboratori di giustizia come testimoni. Da Santonastaso la volontà di rinunciare alla possibile prescrizione per, dice, “accertare la verità”.