“Non serve che io aggiunga niente: lei, giudice Caprioli, ne sa molto più di me di questo processo. Ho sentito troppo cattiverie sul mio conto e sono ad un punto in cui non ho più forza di reagire, un po' come chi - sotto tortura - preferisce lasciarsi andare per farla finita” con la voce rotta dal pianto Giuseppe Roberti interviene, da remoto, alla fine dell'udienza – la penultima- dell'appello del Conto Mazzini, tutta dedicata ad una figura ritenuta chiave nel processo, di notevole influenza nelle Segreterie politiche dell'epoca, che ha ricoperto ruoli apicali in Banca Commerciale e che ha avuto una delle condanne più pesanti, 9 anni.
“Siamo qui per giudicare una sentenza – dice Alessandro Petrillo- impegnata di criticità e candidata alla più severa delle censure, completamente appiattita sulle accuse degli atti di indagine”. Tre i filoni principali del suo intervento: il riciclaggio “carente della prova del reato- dice- sono più reati presunti che presupposi”- l'associazione a delinquere “inesistente sul punto di diritto” e le confische. Su quest'ultimo punto, dopo una storia sull'evoluzione in materia, ricorda che ad introdurre la confisca per equivalente è stata la legge 100 del 2013, applicabile pertanto da quella data in poi.
Sui due elementi nuovi che impattano in questo secondo grado di giudizio si è soffermato Rossano Fabbri, “è stato violato il diritto di difesa - dice, tra le altre cose, il legale sammarinese- insieme a tutti i princìpi del giusto processo” e si rifà ai verbali della Commissione Giustizia e del Consiglio giudiziario plenario che avrebbero gettato ombre sul giudice inquirente e sulla gestione del fascicolo. L'altro è la sentenza del Collegio Garante, che introducendo l'istantaneità del reato di riciclaggio obbliga ad un ricalcolo della prescrizione, a tutto beneficio delle sorti processuali degli imputati.
Fabbri entra dunque nello specifico dei singoli casi per richiamarsi all'ultima movimentazione, sottolineando il paradosso di una difesa che è stata costretta anche a ricostruire l'accusa, riperimetra la vicenda del suo assistito in soli quattro casi, per un conto che non supera i 6 milioni e 200 mila euro e punta il dito sulla volontà di ingigantire una indagine “che non è un maxi processo- spiega- ma tanti diversi che poco hanno a che fare l'uno con l'altro, a partire da Finpoject, ad eccezione di rare interconnessioni”. Chiedono l'assoluzione, l'annullamento delle confische e – come fatto dalle difese Podeschi e Stolfi- la nullità della sentenza e degli atti di primo grado.