Per le decine di migliaia di civili, ancora intrappolati ad est Ghouta, l'incubo potrebbe finire nei prossimi giorni. Stando agli ultimi report, infatti, l'Esercito siriano – supportato dalle forze aeree di Damasco e della Federazione Russa -, ha conquistato oltre metà della sacca, avanzando con estrema rapidità, con l'obiettivo di tagliare in 2 il territorio controllato dai ribelli. Contemporaneamente proseguono le trattative per la resa dei miliziani jihadisti, e il loro trasferimento, con un salvacondotto, ad Idlib. Non saranno negoziati semplici. Attualmente, a Ghouta, il gruppo più potente sono infatti i salafiti di Jaish al-Islam, che in passato avevano fatto sfilare per le strade, ingabbiati, civili della minoranza alawita, utilizzandoli come scudi umani. Il grosso problema è che queste forze terrebbero sostanzialmente in ostaggio la popolazione nelle aree più urbanizzate, bersagliando – con mortai e cecchini – i passaggi umanitari aperti dai governativi. La novità di queste ore è l'accordo per l'evacuazione di 13 miliziani qaedisti: raggiunto ieri durante trattative con rappresentanti dell'Onu, che viaggiavano su un convoglio di aiuti umanitari. L'obiettivo di Jaish al-Islam potrebbe essere quello di espellere dalla sacca ogni presenza di al-Qaeda – esclusa dalla tregua raggiunta il 24 febbraio scorso, alle Nazioni Unite -, per godere di un periodo di stop ai combattimenti e riorganizzarsi. Ma da est Ghouta, a quanto pare, si continuerebbero a lanciare razzi su aree densamente popolate di Damasco. Da qui la decisione dei governativi di chiudere in ogni caso la partita. Numerosi civili hanno già perso la vita nei bombardamenti; una battaglia nelle zone urbane, della sacca, avrebbe conseguenze pesantissime sulla popolazione. Nel frattempo, nel nord-ovest del Paese, continua l'avanzata delle truppe di Ankara - supportate da ribelli filo-turchi - nel cantone curdo di Afrin. “La città è circondata – ha tuonato ieri Erdogan -. Con il volere di Dio, potremmo entrare in qualunque momento”. Il Presidente turco ha anche ribadito l'intenzione di attaccare successivamente, le forze armate del Rojava, anche a Manbij e a est dell'Eufrate: dove, tuttavia, stazionano anche truppe statunitensi.
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