L’organizzazione del Seminario su L’economia della Conoscenza dell’8 aprile da parte della Segreteria di Stato per la P.I., Cultura ed Università ha segnato un utile inizio per una discussione sul rapporto fra economia e cultura nella Repubblica di San Marino destinata a durare a lungo. Ciò che non è stato possibile dire nel corso di quel pomeriggio per un forte ritardo dei lavori causato sia da una relazione fuori programma e quantomeno fuori tema, sia dalla pre-organizzazione del dibattito successivo, schiacciato dai tempi residui e da una lunga serie di curiose prenotazioni preventive, sarà certamente oggetto di discussione d’ora in avanti. Il tentativo del Segretario di Stato Giuseppe Morganti è encomiabile, e non va lasciato cadere. E tuttavia, come ogni tentativo di “muovere le acque” a San Marino attraverso la buona parola di uno o più esperti italiani che ovviamente partono da esperienze italiane, la sua strada è in salita. San Marino è apparentemente troppo simile all’Italia perché questo inganno non si riproponga tutte le volte, ma è singolare che siano proprio i sammarinesi a non accorgersene. O a partire dal presupposto che a San Marino, nell’Università, nella società civile, non vi sia nemmeno una persona in grado di relazionare sul tema con pari dignità rispetto ad ospiti di livello oltretutto quantomeno difforme. I patetici tentativi di importazione di guru italiani delle mostre o dell’economia dovrebbero oramai aver insegnato qualcosa a tutti: o siamo in grado noi di promuovere la nostra storia, identità, cultura e memoria, o nessuno lo farà al posto nostro, sia pure con le migliori intenzioni.
Il cervello di un sammarinese funziona – come è noto - diversamente da quello di un italiano. Ma noi ci siamo e ci stiamo, perché non vogliamo credere che questa operazione miri ad egemonizzare un tessuto generoso, ampio e plurale per fini di parte, che finirebbero per ucciderlo. E siccome il problema della sopravvivenza della Cultura (e non banalmente della sua industria) a San Marino è grave ed urgente, con pari urgenza e serietà esso va affrontato.
Perché per San Marino la Cultura è in realtà tutto. Dimensione orizzontale della tenuta della comunità e verticale della conoscenza della storia e dell’esperienza del Sacro. Realtà buffe ai più come la storicità di San Marino sono tutt’uno con la capacità dei nostri cittadini di difendere in prima persona, per secoli, le proprie libertà concrete. Tout se tient.
E la crisi della nostra comunità, che inizia non dopo, ma grazie al tremendo arricchimento degli anni ’70 ed ’80 ed al dilagare di un individualismo rozzo e border line è stata prima di ogni cosa una profonda crisi di trasmissione culturale e spirituale. E oggi ha ragione il prof. Sacco quando paventa il rischio di ridurci ad una Disneyland per turisti, per giunta sempre più poveri.
La nostra Identità storica, istituzionale, religiosa è la nostra Cultura. Un albero vivente, che cresce e muta nei secoli, ma non cresce bene amputandone radici e rami. C’è quindi da ricucire il rapporto profondo fra la comunità, la sua storia e le sue radici, e il nostro futuro. Qui sta il difficile. San Marino, come contrappeso alla degradazione individualistica, ha generato un associazionismo culturale di ricchezza forse unica. Si occupa di ambiente e di anziani, di Europa e delle gallerie del trenino, di prevenzione e di musica. Id est Cultura. Un fiorire di cento fiori diversi, adattatisi a vivere in un terreno sempre più arido.
La prima tentazione dell’oggi è di fare il deserto per aprire da qualche parte una serra in cui coltivare solo belle piante scelte da qualche Grande Esperto giunto chissà da dove. La seconda è deprezzare ciò che è nostro perché, si sa, le banalità del vicino sono sempre più verdi e vale sempre la pena finanziare copiosamente iniziative fuori territorio piuttosto che dare stabilità pluriennale alle nostre Associazioni. La terza è la strumentalizzazione partitica, prezioso principio per il quale è meglio che nulla viva se IO (dominus di turno) non sono in grado di controllarlo. La quarta è la strumentalizzazione ideologica, come il contrapporre “pubblico” a “privato”, usare una buona idea per cercare di far fuori il nemico dell’altroieri, per inseguire rottami di sogni di rigenerazione della nostra millenaria realtà comunitaria.
San Marino ha nello stesso tempo una grande e luminosa tradizione centralista, che oggi costituisce un limite - anch’esso culturale - immenso, micidiale. Non deriva dal colore del governo, ma dalla difficoltà di capire noi stessi e il mondo che cambia. Siamo poco capaci di guardarci storicamente, senza buttar via la fetta della nostra storia che non ci piace; e quindi siamo poco capaci di comprendere gli altri e i loro bisogni (come il modello di turismo che continuiamo ad offrire dimostra). Non vi è quindi nulla di male – anzi - nell’aumentare le occasioni di “fare impresa” in ambito culturale con utili facilitazioni, a condizione di non farne una leva di potere e se possibile senza un giovanilismo retorico ed inutile, poiché la cultura è come la vita, si trasmette nel tempo e tramite la conoscenza. Ma la sfida sta altrove. La stessa Europa Unita ci chiede chi siamo, ossia che cosa vogliamo da un miglior rapporto con essa. La prima, essenziale industria culturale della Repubblica è la Repubblica stessa. Senza di lei, i coriacei sforzi di tutti noi e di tutti i giorni sono condannati a cedere terreno piano piano, assieme alla povertà crescente della società, morale prima che materiale. Lasciate che Cento fiori fioriscano, e Cento scuole si confrontino. Se non erro lo ha detto uno di sinistra.
Adolfo Morganti, Presidente Fondazione Paneuropea Sammarinese
Il cervello di un sammarinese funziona – come è noto - diversamente da quello di un italiano. Ma noi ci siamo e ci stiamo, perché non vogliamo credere che questa operazione miri ad egemonizzare un tessuto generoso, ampio e plurale per fini di parte, che finirebbero per ucciderlo. E siccome il problema della sopravvivenza della Cultura (e non banalmente della sua industria) a San Marino è grave ed urgente, con pari urgenza e serietà esso va affrontato.
Perché per San Marino la Cultura è in realtà tutto. Dimensione orizzontale della tenuta della comunità e verticale della conoscenza della storia e dell’esperienza del Sacro. Realtà buffe ai più come la storicità di San Marino sono tutt’uno con la capacità dei nostri cittadini di difendere in prima persona, per secoli, le proprie libertà concrete. Tout se tient.
E la crisi della nostra comunità, che inizia non dopo, ma grazie al tremendo arricchimento degli anni ’70 ed ’80 ed al dilagare di un individualismo rozzo e border line è stata prima di ogni cosa una profonda crisi di trasmissione culturale e spirituale. E oggi ha ragione il prof. Sacco quando paventa il rischio di ridurci ad una Disneyland per turisti, per giunta sempre più poveri.
La nostra Identità storica, istituzionale, religiosa è la nostra Cultura. Un albero vivente, che cresce e muta nei secoli, ma non cresce bene amputandone radici e rami. C’è quindi da ricucire il rapporto profondo fra la comunità, la sua storia e le sue radici, e il nostro futuro. Qui sta il difficile. San Marino, come contrappeso alla degradazione individualistica, ha generato un associazionismo culturale di ricchezza forse unica. Si occupa di ambiente e di anziani, di Europa e delle gallerie del trenino, di prevenzione e di musica. Id est Cultura. Un fiorire di cento fiori diversi, adattatisi a vivere in un terreno sempre più arido.
La prima tentazione dell’oggi è di fare il deserto per aprire da qualche parte una serra in cui coltivare solo belle piante scelte da qualche Grande Esperto giunto chissà da dove. La seconda è deprezzare ciò che è nostro perché, si sa, le banalità del vicino sono sempre più verdi e vale sempre la pena finanziare copiosamente iniziative fuori territorio piuttosto che dare stabilità pluriennale alle nostre Associazioni. La terza è la strumentalizzazione partitica, prezioso principio per il quale è meglio che nulla viva se IO (dominus di turno) non sono in grado di controllarlo. La quarta è la strumentalizzazione ideologica, come il contrapporre “pubblico” a “privato”, usare una buona idea per cercare di far fuori il nemico dell’altroieri, per inseguire rottami di sogni di rigenerazione della nostra millenaria realtà comunitaria.
San Marino ha nello stesso tempo una grande e luminosa tradizione centralista, che oggi costituisce un limite - anch’esso culturale - immenso, micidiale. Non deriva dal colore del governo, ma dalla difficoltà di capire noi stessi e il mondo che cambia. Siamo poco capaci di guardarci storicamente, senza buttar via la fetta della nostra storia che non ci piace; e quindi siamo poco capaci di comprendere gli altri e i loro bisogni (come il modello di turismo che continuiamo ad offrire dimostra). Non vi è quindi nulla di male – anzi - nell’aumentare le occasioni di “fare impresa” in ambito culturale con utili facilitazioni, a condizione di non farne una leva di potere e se possibile senza un giovanilismo retorico ed inutile, poiché la cultura è come la vita, si trasmette nel tempo e tramite la conoscenza. Ma la sfida sta altrove. La stessa Europa Unita ci chiede chi siamo, ossia che cosa vogliamo da un miglior rapporto con essa. La prima, essenziale industria culturale della Repubblica è la Repubblica stessa. Senza di lei, i coriacei sforzi di tutti noi e di tutti i giorni sono condannati a cedere terreno piano piano, assieme alla povertà crescente della società, morale prima che materiale. Lasciate che Cento fiori fioriscano, e Cento scuole si confrontino. Se non erro lo ha detto uno di sinistra.
Adolfo Morganti, Presidente Fondazione Paneuropea Sammarinese
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