Venerdì 28 novembre al Teatro Nuovo di Dogana (ore 21.00) nuovo appuntamento con il grande teatro: Umberto Orsini porterà in scena La leggenda del grande inquisitore, per la regia di Pietro Babina.
La pièce è una ricomposizione teatrale del lancinante e dibattuto capitolo dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij dove Umberto Orsini riveste magistralmente i panni di un Ivan maturo, contrapposto al suo “altro da sé” Alioscia, in un adattamento che traduce l’allegoria originaria in un serrato ed inquietante dialogo/spazio metafisico contemporaneo, denso di riferimenti politici, allusioni, simboli.
Rodolfo di Giammarco lo ha definito: “Enorme performance, attraverso stili ed espressioni, di un Orsini prima ragionatore, poi scatenato. Leonardo Capuano è un preciso e speculare Mefisto. La regia di Babina smonta Dovstoevskij, ma ce lo ridà come incubo di adesso”
“Vivo da quarant’anni col Grande Inquisitore di Dostoevskij da quando cominciai ad occuparmene in occasione di un romanzo sceneggiata che alla fine degli anni sessanta fu realizzato da Sandro Bolchi per la Rai -TV e che fu seguito da più di venti milioni di persone per otto settimane di seguito (…) “ premette lo stesso Orsini per spiegare da dove sia scaturita l’idea dello spettacolo, che prosegue:. “Sono anni ormai che il romanzo “mai scritto" da lvan e raccontato al fratello Alioscia viene citato come un pezzo di letteratura tra i più corrosivi fra quanti scritti da Dostoevskij (…) E allora abbiamo immaginato un lvan vecchio (la mia età) e un figlio (che nel romanzo non c'è) ma che ci potrebbe essere come figlio-demone, figlio tentatore, figlio Mefisto, che cerca di tentare il vecchio lvan-Faust colla possibilità di dire quelle parole del Grande Inquisitore oggi, davanti la platea di TED Conference un luogo non virtuale dove in diciotto minuti oggi uno può tentare di dire qualcosa che vale la pena di essere raccontato. E tutte le scene che precedono questo racconto non sono che una esemplificazione a volte fulminea, a volte più elaborata di quei temi (libertà, fede, mistero ,autorità, speranza, fame ecc) che sono contenuti nel racconto che finalmente, dopo tanti anni, lvan fa davanti al pubblico, come se il personaggio avesse finalmente scritto il suo romanzo. E il fatto più unico che raro che la mia immagine giovane (quella dello sceneggiato che si identifica con me) possa apparire come sogno di una gioventù perduta, di un desiderio represso di un patto che sa tanto di "reality” rendono le cose leggermente più intriganti, spero. Le parole del Grande Inquisitore oggi a chi farebbero paura? La chiesa, o l'autorità, o il potere tout-court, agiscono ancora come il vecchio inquisitore sosteneva essere l'unico modo che permettesse agli uomini di essere liberi attraverso la negazione della libertà? Viviamo nella stessa illusione? Non voglio raccontare di più. Vorrei che il pubblico facesse lo sforzo di raccordare da solo i frammenti gettati qua e là costruendo il suo percorso mentale, ascoltando, guardando, semplicemente, come avviene a teatro.”
La pièce è una ricomposizione teatrale del lancinante e dibattuto capitolo dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij dove Umberto Orsini riveste magistralmente i panni di un Ivan maturo, contrapposto al suo “altro da sé” Alioscia, in un adattamento che traduce l’allegoria originaria in un serrato ed inquietante dialogo/spazio metafisico contemporaneo, denso di riferimenti politici, allusioni, simboli.
Rodolfo di Giammarco lo ha definito: “Enorme performance, attraverso stili ed espressioni, di un Orsini prima ragionatore, poi scatenato. Leonardo Capuano è un preciso e speculare Mefisto. La regia di Babina smonta Dovstoevskij, ma ce lo ridà come incubo di adesso”
“Vivo da quarant’anni col Grande Inquisitore di Dostoevskij da quando cominciai ad occuparmene in occasione di un romanzo sceneggiata che alla fine degli anni sessanta fu realizzato da Sandro Bolchi per la Rai -TV e che fu seguito da più di venti milioni di persone per otto settimane di seguito (…) “ premette lo stesso Orsini per spiegare da dove sia scaturita l’idea dello spettacolo, che prosegue:. “Sono anni ormai che il romanzo “mai scritto" da lvan e raccontato al fratello Alioscia viene citato come un pezzo di letteratura tra i più corrosivi fra quanti scritti da Dostoevskij (…) E allora abbiamo immaginato un lvan vecchio (la mia età) e un figlio (che nel romanzo non c'è) ma che ci potrebbe essere come figlio-demone, figlio tentatore, figlio Mefisto, che cerca di tentare il vecchio lvan-Faust colla possibilità di dire quelle parole del Grande Inquisitore oggi, davanti la platea di TED Conference un luogo non virtuale dove in diciotto minuti oggi uno può tentare di dire qualcosa che vale la pena di essere raccontato. E tutte le scene che precedono questo racconto non sono che una esemplificazione a volte fulminea, a volte più elaborata di quei temi (libertà, fede, mistero ,autorità, speranza, fame ecc) che sono contenuti nel racconto che finalmente, dopo tanti anni, lvan fa davanti al pubblico, come se il personaggio avesse finalmente scritto il suo romanzo. E il fatto più unico che raro che la mia immagine giovane (quella dello sceneggiato che si identifica con me) possa apparire come sogno di una gioventù perduta, di un desiderio represso di un patto che sa tanto di "reality” rendono le cose leggermente più intriganti, spero. Le parole del Grande Inquisitore oggi a chi farebbero paura? La chiesa, o l'autorità, o il potere tout-court, agiscono ancora come il vecchio inquisitore sosteneva essere l'unico modo che permettesse agli uomini di essere liberi attraverso la negazione della libertà? Viviamo nella stessa illusione? Non voglio raccontare di più. Vorrei che il pubblico facesse lo sforzo di raccordare da solo i frammenti gettati qua e là costruendo il suo percorso mentale, ascoltando, guardando, semplicemente, come avviene a teatro.”
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