50 anni di proiezione sui nostri fondi pensione. E le notizie non sono incoraggianti. Secondo la Segreteria di Stato per la Sanità, in mezzo secolo la spesa per le pensioni passa dai 100 milioni del 2009, ad oltre 1.700 milioni nel 2058. Nello stesso periodo, invece, la raccolta contributiva sale da 100 a 900 milioni. Lo scarto non è dovuto agli importi medi delle pensioni, che crescono del 2,9% all’anno. I motivi stanno prima di tutto, nell’evoluzione demografica che vedrà il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi (oggi al 31%) salire ad oltre il 78% nel 2058, valore palesemente insostenibile, sottolinea la relazione ai due progetti di legge di riforma delle pensioni. Il sistema, quindi, va messo in sicurezza. Per farlo il governo intende creare tre macrocategorie di assicurati, tenuti a garantire l’autosufficienza del proprio fondo pensioni: lavoratori dipendenti, autonomi e agricoltori. L’età pensionabile viene innalzata a 66 anni, mantenendo la possibilità di avere la pensione di anzianità per i lavoratori autonomi con almeno 42 anni di contribuzione, indipendentemente dall’età anagrafica. E vengono fatti salvi i diritti acquisiti sino all’entrata in vigore della nuova legge. Per il sistema di previdenza complementare si è scelto di creare un unico fondo pensione gestito dall’ISS e depositato presso Banca Centrale, introducendo un regime a contribuzione definita. Il contributo, obbligatorio, non potrà superare il 4% sull’imponibile previdenziale dei lavoratori dipendenti, e dovrà essere di almeno il 4% del reddito di impresa per i lavoratori autonomi, con la possibilità di un ulteriore contributo volontario per tutti. Gli iscritti al fondo potranno chiedere un anticipo del 30% per spese straordinarie.
Sonia Tura
Sonia Tura
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