L'Iran lo messo in chiaro: il destino di Cecilia Sala, la giornalista di 29 anni rinchiusa nella prigione di Evin dal 19 dicembre, è sempre più legato a quello di Mohammad Abedini, l'iraniano arrestato all'aeroporto di Milano il 16 dicembre su richiesta degli Usa. Il messaggio è stato portato dall'ambasciatore di Teheran a Roma, convocato alla Farnesina alla luce della seconda, e per ora ultima, telefonata della ragazza ai parenti. Le sue condizioni di detenzione non sono affatto migliorate, fa sapere. Oggi l'ambasciatrice italiana al ministero degli Esteri iraniano per formalizzare le richieste del Governo, ovvero “un trattamento rispettoso della dignità umana" della giornalista, in attesa della sua “immediata liberazione”, come sottolineato da Tajani e ribadito dalla madre di Cecilia Sala, Elisabetta Vernoni.
"Si è parlato di cella singola, ma non esistono le celle singole, esistono le celle di detenzione comuni e poi ci sono le celle di punizione; lei è in una di queste evidentemente - commenta la mamma -. Le condizioni carcerarie per una ragazza di 29 anni che non ha compiuto nulla devono essere quelle che non la segneranno per tutta la vita".
Sono le dichiarazioni all'uscita di Palazzo Chigi, dopo l'incontro con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, verso la quale la mamma di Sala esprime fiducia: "Sicuramente stanno lavorando - continua la Vernoni - e io sono un po' come Cecilia: un soldato, aspetto e rispetto il lavoro che stanno facendo".
“Pregherò per lei e per me”. Così Abedini, stamane durante il colloquio in carcere con il suo avvocato. L'ingegnere iraniano dei droni, che ribadisce la preoccupazione per la propria famiglia, ha infatti chiesto informazioni sulla vicenda della Sala. La procuratrice generale di Milano gli ha negato i domiciliari. A decidere ora saranno i giudici della Corte d'Appello il 15 gennaio.