La prima vera reazione è venuta dalla Germania, con l'ordine – del Cancelliere Scholz – di sospendere il processo di certificazione del gasdotto Nord Stream 2. Felicitazioni dalla Casa Bianca, che ha sempre osteggiato l'infrastruttura; strategica sia per Mosca che per Berlino: legame visto con il fumo negli occhi dall'egemone globale. Il problema – di certo non riguardante Washington, che anzi potrebbe aumentare le proprie esportazioni di gas naturale liquefatto – sono le conseguenze economiche di questo passo; che il Cremlino auspica sia solo temporaneo. Sarcastico il commento dell'ex Presidente russo Medvedev: “benvenuti nel nuovo coraggioso mondo in cui gli europei pagheranno molto presto 2.000 euro per 1.000 metri cubi di gas naturale!".
Ma è indubbio l'impatto anche per Mosca, che vive di esportazioni energetiche. Il rischio calcolato di Putin – nel riconoscere le repubbliche separatiste del Donbass - potrebbe insomma rivelarsi difficilmente sostenibile. Sempre che il fronte europeo non si frammenti, vista la crisi energetica, aggravata anche oggi da una forte impennata dei prezzi. Bruxelles propone un pacchetto di sanzioni per contrastare l'accesso di Mosca a capitali e servizi europei; mentre Londra mette nel mirino le banche. Quanto alla situazione nel Donbass – dopo lo “strappo” di ieri del Cremlino -, le autorità separatiste parlano di un miliziano ucciso in un bombardamento ucraino. Da monitorare la situazione a Kiev, dove sarebbe forte la pressione dei nazionalisti su Zelensky; che ha escluso un ritiro delle truppe dalle aree contese.
A stretto giro il Senato russo ha approvato l'utilizzo di forze militari a sostegno dei separatisti. Spetterà ora a Putin deciderne il dispiegamento. E ciò fa ritenere che per Mosca – nonostante la pietra tombale sugli Accordi di Minsk - il negoziato sulla sicurezza non sia concluso. Ma la finestra del dialogo è ormai strettissima, con nuovi allarmi – lanciati da Stati Uniti e NATO – di un attacco russo su vasta scala.