C'è attesa negli Emirati Arabi per l'incontro tra Trump e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, previsto la prossima settimana in Argentina, a margine del G20.
Sul tavolo due temi che stanno minando l'immagine del principe agli occhi del mondo, mettendo in seria difficoltà Trump e destabilizzando tutti i Paesi del Golfo: l'uccisione del giornalista Khashoggi e la guerra in Yemen.
Trump ha ribadito nella sua relazione alla Casa Bianca "Standing with Saudi Arabia" che gli Stati Uniti sono con Riad, che non hanno intenzione di rinunciare a centinaia di miliardi di dollari di scambi commerciali e che se i rapporti con la monarchia saudita si incrinassero il prezzo del petrolio salirebbe alle stelle. Anche se bin Salman risultasse quindi direttamente coinvolto nell'uccisione di Khashoggi, il motto rimane sempre “America First”: prima di tutto vengono gli interessi degli Stati Uniti.
Ed è stato proprio l'omicidio di Khashoggi ad avere attirato l'attenzione internazionale anche sulla guerra in Yemen, contro la quale il giornalista si batteva con passione, aprendo come sembra qualche spiraglio di pace. Il principe saudita, che ha dato inizio agli scontri nel 2015, deve in questo momento dare segnali di buona volontà almeno sul fronte Yemen, e ai suoi alleati occidentali, che questa guerra l'hanno sostenuta e armata, non fa comodo che i riflettori si accendano su un conflitto che ha portato alla peggiore crisi umanitaria di questi anni.
Sta di fatto che qualche passo in avanti verso una possibile risoluzione del conflitto negli ultimi giorni in effetti c'è stato. Dopo le pressioni internazionali, la coazione guidata dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi ha sospeso il violento attacco in corso da settimane nella città portuale di Hodeidah, portando la prima tregua nei combattimenti dall'inizio della guerra. Anche se breve, è stata infatti infranta mercoledì da un razzo lanciato verso l'Arabia Saudita da un combattente Houti, ha permesso l'ingresso di aiuti umanitari e ha dato lo spazio alle Nazioni Unite per rilanciare una nuova risoluzione di pace.
È notizia di questa settimana anche la diserzione di alcuni alti funzionari del gruppo sciita, segno che i ribelli sostenuti dall'Iran stanno perdendo coesione, mentre la colazione sunnita ha permesso il trasferimento in Oman per cure mediche di 50 feriti Houti, parte delle misure richieste dall'Onu per rafforzare la fiducia e aprire la strada ai negoziati, previsti in Svezia all'inizio di dicembre, e ai quali Arabia Saudita, Emirati Arabi e Stati Uniti hanno dato pieno appoggio.
Elisabetta Norzi
Sul tavolo due temi che stanno minando l'immagine del principe agli occhi del mondo, mettendo in seria difficoltà Trump e destabilizzando tutti i Paesi del Golfo: l'uccisione del giornalista Khashoggi e la guerra in Yemen.
Trump ha ribadito nella sua relazione alla Casa Bianca "Standing with Saudi Arabia" che gli Stati Uniti sono con Riad, che non hanno intenzione di rinunciare a centinaia di miliardi di dollari di scambi commerciali e che se i rapporti con la monarchia saudita si incrinassero il prezzo del petrolio salirebbe alle stelle. Anche se bin Salman risultasse quindi direttamente coinvolto nell'uccisione di Khashoggi, il motto rimane sempre “America First”: prima di tutto vengono gli interessi degli Stati Uniti.
Ed è stato proprio l'omicidio di Khashoggi ad avere attirato l'attenzione internazionale anche sulla guerra in Yemen, contro la quale il giornalista si batteva con passione, aprendo come sembra qualche spiraglio di pace. Il principe saudita, che ha dato inizio agli scontri nel 2015, deve in questo momento dare segnali di buona volontà almeno sul fronte Yemen, e ai suoi alleati occidentali, che questa guerra l'hanno sostenuta e armata, non fa comodo che i riflettori si accendano su un conflitto che ha portato alla peggiore crisi umanitaria di questi anni.
Sta di fatto che qualche passo in avanti verso una possibile risoluzione del conflitto negli ultimi giorni in effetti c'è stato. Dopo le pressioni internazionali, la coazione guidata dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi ha sospeso il violento attacco in corso da settimane nella città portuale di Hodeidah, portando la prima tregua nei combattimenti dall'inizio della guerra. Anche se breve, è stata infatti infranta mercoledì da un razzo lanciato verso l'Arabia Saudita da un combattente Houti, ha permesso l'ingresso di aiuti umanitari e ha dato lo spazio alle Nazioni Unite per rilanciare una nuova risoluzione di pace.
È notizia di questa settimana anche la diserzione di alcuni alti funzionari del gruppo sciita, segno che i ribelli sostenuti dall'Iran stanno perdendo coesione, mentre la colazione sunnita ha permesso il trasferimento in Oman per cure mediche di 50 feriti Houti, parte delle misure richieste dall'Onu per rafforzare la fiducia e aprire la strada ai negoziati, previsti in Svezia all'inizio di dicembre, e ai quali Arabia Saudita, Emirati Arabi e Stati Uniti hanno dato pieno appoggio.
Elisabetta Norzi
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