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Elezioni USA: linea dura di Kamala Harris contro Trump nei primi interventi da candidata in pectore

Sbloccata l'impasse in casa Dem dopo il passo indietro di Biden, che domani parlerà alla Nazione. A Pechino intanto una storica intesa fra le diverse fazioni palestinesi sul futuro di Gaza

23 lug 2024

Pochi dubbi sul futuro da frontrunner di Kamala Harris. Sarebbero prossimi a quota 2.700, i delegati democratici dalla sua parte. Nelle scorse ore anche l'endorsement di George Clooney: spia infallibile del mainstream liberal. In piena luna di miele con la vicepresidente; come dimostrano gli oltre 100 milioni raccolti da domenica. Un dettaglio, a fronte di simili numeri, il silenzio degli Obama. Per lo staff trumpiano, ora, il non banale compito di ricalibrare una strategia settata sulla problematica senescenza di Biden; che per la cronaca parlerà alla Nazione, domani, dallo Studio Ovale. Punti deboli di Harris – dall'altra parte - la prova giudicata opaca al fianco del commander-in-chief, specie su un dossier cruciale come l'immigrazione; le riferite difficoltà a lavorare in squadra; l'aver riso in momenti poco opportuni. Ma il gioco di ottenere dividendi, facendo leva sulle fragilità dell'avversario, potrebbe rivelarsi un'arma spuntata in questo caso. Piglio aggressivo, di Kamala, nelle prime dichiarazioni da candidata in pectore. “So che tipo di persona è Donald Trump”, ha tuonato; ricordando le proprie inchieste, da procuratrice in California, contro truffatori e predatori sessuali. Parrebbe dimenticato, insomma, l'invito dello stesso Biden a moderare i toni dopo i gravi fatti di Butler; vicenda che ha portato oggi alle dimissioni della direttrice del Secret Service, e che pareva aver moltiplicato le chance di elezione del tycoon. L'idea di Harris è piuttosto farne un tema forte della propria campagna, con la proposta di un ban alle armi d'assalto. Altro elemento chiave l'aborto. Quanto alla politica estera la linea parrebbe quella dell'attuale Presidente; al netto, forse, di una maggiore rigidità con Israele. Domani, in occasione del discorso al Congresso di Netanyahu, sarà ad Indianapolis. Evento già programmato – è stato fatto sapere – ma c'è chi ha visto nell'annunciato forfait un segnale. Un rompicapo, per la Casa Bianca, la crisi di Gaza; ma se è vero che in geopolitica non esistono vuoti, un'eventuale impasse statunitense potrebbe incoraggiare il protagonismo cinese. Una prima prova clamorosa la si era avuta con la mediazione nel disgelo tra Iran e Arabia Saudita. A Pechino, nelle scorse ore, un nuovo successo diplomatico: l'intesa tra 14 diverse fazioni palestinesi – incluse Hamas e Fatah, de facto nemiche – sull'istituzione di un governo provvisorio, nella Striscia, nel dopoguerra. Proposto dal Ministro Wang Yi anche un approccio in 3 fasi – basato sulla soluzione a due Stati - per giungere alla pace.





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